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Il Foglio sportivo

Quanta Italia nella McLaren che vince

Umberto Zapelloni

Non c’è solo Andrea Stella. Una ventina di ingegneri arrivano dalle nostre università, molti ex ferraristi, che hanno trovato l'Eldorado in Inghilterra al McLaren Technology Center di Woking

"Ci sono più italiani nel reparto aerodinamico della McLaren che in Ferrari”. La battuta dell’ingegner Pino Pesce, responsabile del reparto Aero nella squadra che sta dominando il Mondiale di Formula 1, ci racconta una storia dietro il ritorno al successo del team papaya che ha chiuso la prima parte della stagione festeggiando la 200esima vittoria della sua storia. Nella McLaren di oggi non c’è soltanto Andrea Stella a tenere alto il tricolore. Con lui ci sono decine di ingegneri, molti ex ferraristi, che hanno trovato l’Eldorado in Inghilterra, al McLaren Technology Center di Woking, una sede avveniristica progettata da sir Norman Foster quando alla guida del team c’era Ron Dennis, l’uomo che in qualche modo provò a gestire Ayrton Senna e Alain Prost. 


La battuta dell’ingegner Pesce, è una delle tante curiosità, raccolte da Mario Donnini nel suo ultimo libro “Arancia Meccanica, la favola della McLaren”. La storia parte da molto lontano, dal 1963, quando il neozelandese Bruce McLaren fondò la sua squadra per continuare a gareggiare in Formula 1 dopo gli inizi e le prime vittorie in Cooper. “La vita si misura in ciò che raggiungi non solamente in anni”, disse un giorno. E lui, partendo dalla Nuova Zelanda dove il padre gestiva un distributore di benzina, di cose ne ha fatte davvero tante. Prima di tutto ha smentito i medici che avevano detto: “Con questa malattia non camminerà più”. Dopo due anni di ospedali e trazioni, anche se zoppicando un po’ perché aveva la gamba sinistra più corta, si alzò e non si fermò più. Correva dovunque: in Formula 1, a Le Mans, nella Can Am. Bruce McLaren nasce nel 1937, una decina d’anni prima che Enzo Ferrari fondasse la sua Scuderia. E lui, una volta emigrato in Europa per correre, seguirà il suo esempio diventando anche il secondo pilota, dopo Jack Brabham che poi divenne anche campione del mondo, a vincere una Gran premio con una macchina che portava il suo nome.

Una delle poche cose che non riuscirono a Enzo Ferrari che aveva smesso di correre prima di fondare la Ferrari. Anche la McLaren, come la Ferrari, è un’azienda che è riuscita ad andare oltre il suo fondatore. Bruce non ha avuto la fortuna di Enzo, arrivato a festeggiare i 90 anni: è morto in pista a Goodwood il 2 giugno 1970 mentre stava collaudando una sua vettura CanAm. McLaren progettava, guidava e faceva affari. La sua scuderia vincerà il primo Mondiale nel 1974 con Emerson Fittipaldi, per poi ripetersi con Hunt due anni dopo e cominciare a dominare con Lauda, Prost e Senna. Gli ultimi mondiali (12 piloti, 9 costruttori) sono arrivati con Hakkinen e Hamilton. Il prossimo lo porterà uno tra Piastri e Norris. Come aveva predetto Ron Dennis: “Quando torneremo a vincere, torneremo anche a dominare”. Oggi Ron Dennis non c’è più, altrimenti tanti italiani non ci sarebbero. Zac Brown è amministratore delegato dal 2018, dopo esser stato due anni direttore esecutivo. Per uscire dalla crisi ha dovuto vendere anche auto e trofei che avevano scritto la storia del team. Ma oggi il team papaya è tornato a splendere e a dirigere le operazioni in pista c’è Andrea Stella, un ingegnere aerospaziale di Orvieto, portato in McLaren nel 2015 da Alonso di cui era stato ingegnere di pista in Ferrari. Meno di dieci anni dopo è diventato team principal e campione del mondo. “Niente meriti individuali, faccio parte di una squadra. Un team in cui, tra l’altro, ci sono molti italiani e, ve lo garantisco, tutti assai bravi”, racconta a Donnini nel libro. 


Il primo italiano a essere arrivato in McLaren era stato Andrea De Adamich nel 1970, quando il team correva con i motori Alfa Romeo. Quattro Gran premi e tanti problemi per colpa di un motore poco potente e molto fragile. Un ottavo posto al Gran premio d’Italia non bastò a far proseguire l’avventura. Dopo De Adamich arrivarono Bruno Giacomelli che sulla fiancata della sua McLaren aveva la scritta Jack O’Malley ma che in pratica era il terzo pilota e poi Andrea De Cesaris, caldeggiato dallo sponsor tabaccaio che aveva cominciato a colorare di rosso e bianco, come un pacchetto di sigarette, le monoposto papaya. Quel colore, un mix tra il rosso e l’arancione, fu scelto per non essere confusi con altri. A Bruce piaceva il rosso, ma nelle corse quello è il colore della Ferrari, il verde dei team britannici non andava bene e così Teddy Mayer, il braccio amministrativo della squadra, propose quel colore che aveva visto su una Lola.


L’ultimo italiano a guidare la McLaren è stato Emanuele Pirro, preziosissimo collaudatore del team ai tempi di Senna e Prost. Quella squadra divenne quasi imbattibile anche per il lavoro che lui faceva in Giappone con la Honda. Pirro non ha mai corso in gara con la McLaren, ma qualche anno fa è stato responsabile dell’academy del team, alla ricerca di nuovi talenti (ora nell’orbita c’è Brando Badoer, figlio di Luca che è stato il Pirro della Ferrari ai tempi di Schumscher). A far andare veloce la McLaren sono invece gli ingegneri italiani come Andrea Stella, Pino Pesce e tutti gli altri. Pesce, laureato in ingegneria aerospaziale a Torino con master all’Imperial College di Londra, è arrivato in Inghilterra dopo 8 anni di Ferrari per avvicinarsi alla moglie inglese che è medico. Anche lui è abruzzese come tanti altri compagni di squadra (“Sorprendente trovarne così tanti”). Nel libro vengono citati Marco Scavanini, Dario Scarfò, Luca Crosetta, Leonardo Parla, Luigi De Martino Norante, Francesco De Cola,  Jackob Mercanti, Lorenzo Mosconi, Francesco Amoruso, Davide Marchiani, Carlo Boldetti, Giuseppe Tranci, Cesare Certosini, Filippo Sapia, Francesco Bottone, Francesco De Leonardis, Francesco Vinattieri, Stefano Bortesi, Giuseppe Marciante e Alessandro Alunni Bravi che dal gennaio 2025 è chief business affairs officer dopo esser stato team principal della Sauber Alfa Romeo. La leggenda narra che a Woking ci sono tanti italiani perché a pochi chilometri c’era una prigione di guerra e un importatore di cibo napoletano. La verità è che questa ventina di ingegneri sono arrivati fin qui grazie alle loro competenze. La Ferrari ne ha cercato qualcuno (soprattutto Pesce), ma senza risultato. A sfruttare le loro capacità sono Norris e Piastri. Comunque andrà vincerà anche un po’ d’Italia.

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