
Marco Belinelli ha dato l'addio al basket (foto LaPresse)
L'addio al basket di Marco Belinelli
“Ci ho messo il cuore. Ogni briciolo di me stesso. Ogni singolo giorno. La pallacanestro mi ha dato tutto… e io ho dato tutto a lei", ha scritto il cestista annunciando la fine della sua carriera. È l'unico italiano ad aver vinto un anello da campione Nba e la gara da tre nell’All Star Game
Marco Belinelli è andato oltre i suoi sogni. Ma adesso è arrivato il momento di arrendersi all’età. A marzo saranno 40 e lui, dopo aver regalato a Bologna l’ultimo scudetto, ha capito che non aveva più senso andare avanti anche se la voglia era ancora tanta. Lo ha annunciato con un post in cui ha raggruppato maglie, trofei e foto iconiche di una vita vissuta ben oltre il possibile. In casa ha un anello da campione Nba e un trofeo come vincitore della gara da tre nell’All Star Game: cose che nessun altro italiano ha mai vinto. Ha anche lasciato un messaggio che vuole essere la sua eredità e il suo ringraziamento: “Ci ho messo il cuore. Ogni briciolo di me stesso. Ogni singolo giorno. La pallacanestro mi ha dato tutto… e io ho dato tutto a lei. Non è facile dire addio. Ma è il momento. Porto con me ogni emozione, ogni sacrificio, ogni applauso. Grazie a chi c’è sempre stato. Ai più giovani, lascio un sogno. Fate in modo che valga la pena”.
Marco Belinelli da San Giovanni Persiceto è un ragazzo, ormai fattosi uomo, che ha insegnato al mondo del basket a sognare. Anzi lui ha dimostrato che con il lavoro, l’impegno e la serietà, quei sogni si possono anche realizzare. Marco non ha un fisico speciale, i predestinati della sua generazione erano altri, di speciale ha soprattutto il cuore e la testa. Con quelli ha superato ogni ostacolo arrivando a conquistare il titolo Nba con San Antonio. È diventato uno specialista e si è allenato con ossessione per diventare il migliore. I suoi tiri, spesso impossibili, hanno scritto la storia. Ogni tanto gli riuscivano cose che erano difficili solo da pensare. È stato uno dei re dei tiri ignoranti… Non è capitato a tutti di sentir dire dal presidente degli Stati Uniti. “Dov’è Belinelli? Mi è mancato quest’anno ai Bulls”. E la foro con Obama che gli stringe la mano il giorno della visita dei campioni alla Casa Bianca è lì sul muro dei ricordi, la sua personalissima all of fame. Marco ha messo anche la foto con Kobe, avversario sul campo, ma amico di chiacchiere (in italiano) quando si incontravano.
Non è da tutti riuscire a chiudere un cerchio come ha fatto lui, tornando dove aveva cominciato per finire una carriera dove manca solo una bella vittoria con la maglia azzurra. Il suo cruccio che poi è anche il nostro perché alla fine la nostra generazione di fenomeni non ci ha regalato nulla. Marco aveva cominciato alla Virtus Bologna vincendo una coppa Italia e ha chiuso alla Virtus con due scudetti e tre Supercoppe, In mezzo ci ha messo anche uno scudetto e una Supercoppa con la Fortitudo e poi 13 stagioni in Nba dove era arrivato come 18esima scelta assoluta dei Golden State Warriors nel 2007. Dopo San Francisco ha giocato con Toronto Raptors, New Orleans Hornets, Chicago Bulls, San Antonio Spurs, Sacramento Kings, Charlotte Hornets, Atlanta Hawks e Philadelphia 76ers vincendo l’anello nel 2014. Nove franchigie lasciando il segno e incassando contratti milionari senza mai cambiarlo. Marco è rimasto il ragazzo di San Giovanni in Persiceto che alla fine ha sposato Martina, la fidanzata storica, tornando a vivere nel paese da dove è partito il sogno con la maglia della Vis.
Beli ha voluto lasciare ringraziando il basket e chi lo ha accompagnato in questi anni. Ma alla fine è il basket che lo deve ringraziare. Ha dimostrato ai ragazzi dove si può arrivare con la forza di volontà. Ha dimostrato che anche un ragazzo normale può diventare un fenomeno se ci crede davvero. E non smetteremo mai di ringraziarlo per questo.

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