
Juan Alberto Schiaffino (foto LaPresse)
1925-2025
Il tango e il tackle: il secolo di Juan Alberto Schiaffino
L'uruguainao è uno che nella classifica dei fuoriclasse del calcio starebbe comodo nella top ten di tutti i tempi. Cento anni dopo, i cultori della materia omaggiano "l’uomo che è venuto da lontano"
"L’uomo che è venuto da lontano / ha la genialità di uno Schiaffino". Quando Paolo Conte incide Sudamerica, terza traccia – dopo Blue tangos e prima di Uomo camion – del lato B dell’album Un gelato al limon, è il giugno del 1979 e Juan Alberto Schiaffino, detto Pepe, ha smesso di giocare da diciassette anni.
Juan Alberto, per brevità detto el Pepe, uno che nella classifica dei fuoriclasse del calcio starebbe comodo nella top ten di tutti i tempi, veniva già da lontano fin d’allora, figuriamoci oggi, giorno in cui ne celebriamo il centenario.
Viene da lontano perché era nato il 28 luglio 1925 a Montevideo, Uruguay, un paese che in quegli anni si definiva orgogliosamente "el padre del futbol porque todos saben que la madre es la Inglaterra". Ne aveva tutto il diritto. Delle prime quattro edizioni della Coppa del Mondo, due erano firmate Uruguay, che aveva ospitato, e vinto, la prima, nel 1930, e poi la quarta, quella mitologico Maracanazo. Nel 1950 l’undici de La Celeste gettò nello sprofondo milioni di brasiliani. Di quella finale – che il realtà non era una finale, ma l’ultima partita del girone che, anche solo con un pareggio, avrebbe consegnato la Coppa al Brasile – Pepe Schiaffino fu protagonista, segnando il gol del 1-1 uruguagio, prima del fatale ko di Alcides Ghiggia.
Schiaffino è nipote di Alberto, un nonno ligure che, a fine Ottocento, si era imbarcato a Genova per andare a cercar fortuna a Montevideo. Aveva aperto una macelleria nel Barrio Sur. Il cognome, ancora oggi diffuso in Liguria – camogliese, per esempio, era il maggiore Simone Schiaffino, alfiere dei Mille di Garibaldi, caduto valorosamente a Calatafimi – forse derivato da scafin, una barchetta da pesca, sulle rive dell’Oceano Atlantico viene pronunciato Es-ciafino. Il figlio di Alberto, Raúl Gilberto, trova impiego all’ippodromo e conosce Maria Eusebia, una paraguayana. Si sposano e nel 1923 nasce Raúl; due anni dopo, Juan Alberto. I fratelli, giocano nel Peñarol e insieme vincono il campionato del 1945.
Si capisce però subito che quello forte è il Pepe. Con la maglia aurinegra del club di lontane ascendenze piemontesi – Peñarol è la variante rioplatense di Pinerolo – ne conquista altri quattro. Aveva solo vent’anni ma fin dagli esordi, il Pepe in campo era il faro: come scriveva Eduardo Galeano, sembrava che guidasse i compagni e orchestrasse le trame del gioco dall’alto di una torre. Schiaffino guida ancora la Celeste anche ai Mondiali svizzeri del 1954, fino alla semifinale contro la leggendaria Ungheria di Puskas. Passano i magiari, per 4-2, ai supplementari, in quella che, secondo Gianni Brera che vi assiste da inviato della “Gazzetta”, è la "finale tecnica del Mondiale… una delle partite per me più memorabili della storia calcistica". Nelle sue note di cronaca spicca l’elogio entusiastico del centrocampista uruguagio: "Non sappiamo se il Milan intenda veramente acquistarlo (circolano voci contraddittorie in proposito): ad ogni modo il pubblico milanese si prepari ad ammirare un campione di tale classe da non avere più di quattro o cinque eguali in tutto il calcio mondiale".
Qualche settimana più tardi, nell’agosto 1954, a 29 anni, nel pieno della sua maturità psico-atletica, e facendo rotta contraria rispetto al nonno Alberto, Schiaffino approda all’ombra delle guglie del Duomo. Veste di rossonero per sei stagioni, collezionando 171 presenze e mettendo a segno 60 reti: la sua "genialità venuta da lontano" delizia il pubblico di San Siro, e tutta la serie A. Ha un sinistro raffinato, gioca a testa alta (e impomatata come quella di un ballerino di tango) ma a impressionare di più è il suo senso della posizione: si trova sorprendentemente sempre nel posto giusto al momento giusto. In più, alla tecnica sa unire la qualità agonistica del calcio uruguagio. Non tira mai indietro la gamba nei contrasti, anzi, ne brevetta uno personalissimo e completamente inedito, almeno nel repertorio del campionato italiano: il tackle in scivolata. Giancarlo Danova, detto “Pantera”, giovane compagno milanista, ricorda che "Schiaffino cercava il tempo per dosare il tranello e si lanciava in uno scivolone rubando palla agli avversari da dietro. Nessuno di noi lo aveva mai visto fare a qualcun altro; nemmeno gli arbitri, naturalmente. Che all’inizio gli fischiavano sempre fallo". Proprio per questo, una volta il Pepe perse la pazienza, andò in escandescenze – cosa che gli succedeva spesso – e venne espulso. Presenza, tecnica e agonismo: Schiaffino fin dagli anni Cinquanta era un giocatore moderno, un classico senza tempo, come Valentino Mazzola e Alfredo Di Stéfano, per citare suoi contemporanei; come Paulo Roberto Falcao o Zinedine Zidane, per avvicinarsi a giorni nostri.
Nel Milan dei Rizzoli, Schiaffino vince tre scudetti (subito, alla prima stagione, 1954-55, quando el Pepe si presenta all’esordio con una doppietta nel 4-0 contro la Triestina; e poi ancora nel 1955-56 e nel 1958-59) e la Coppa Latina (1956). Ma la vera consacrazione internazionale del suo Milan avviene il 28 maggio 1958, quando perde la finale di Coppa dei Campioni, tenendo testa fino ai supplementari al cannibalesco Real Madrid: i blancos vincono per 3-2 ma, cavallerescamente, chiedono ai milanisti di fare insieme il giro d’onore. In rossonero Schiaffino ha partner di tutto rispetto: campioni come gli svedesi Gunnar Nordhal e Nils Liedholm, gli argentini Eduardo Ricagni ed Ernesto Grillo, il danese Jorgen Soerensen e il brasiliano José Altafini; solidi pedatori italici, vera spina dorsale della squadra, dal portiere Lorenzo Buffon ad Amleto Frignani, da Omero Tognon a Carletto Galli; ma anche giovani di grandi speranze, come Cesare Maldini, Gigi Radice, Osvaldo Bagnoli e Giovanni Trapattoni.
Il 5 maggio 1959, sotto un temporale battente, sul campo di allenamento di Linate, Schiaffino tiene a battesimo un giovane quindicenne in prova dai capelli a spazzola: al riparo del rovescio, dentro a una 1400 Fiat parcheggiata a bordo campo, Luigi “Cina” Bonizzoni, l’allenatore, e Gipo Viani, general manager e padre-padrone, osservano il gioco. "Come gioca il Pepe!" commenta il vecchio Gipo; "Guarda che quello è il ragazzino" gli risponde Cina. A fine partita Gipo si affretta a mettere sotto contratto Gianni Rivera, pur lasciandolo ancora una stagione ad Alessandria. Così che il Golden Boy indossa il rossonero solo nell’estate in cui Schiaffino prende la strada per Roma. Il loro passaggio di testimone e di classe è più che altro ideale, benedetto soltanto dal diluvio di Linate. Nella Capitale Schiaffino gioca ancora per due stagioni, spesso arretrando alla spalle dei difensori a fare il libero, ma contribuendo in modo sostanziale – nonostante non scenda in campo nella doppia finale contro il Birmingham City – alla vittoria dei giallorossi nella Coppa delle Fiere del 1961.
Tornato in Uruguay a fine carriera, il Pepe intraprende una breve e poco memorabile carriera di allenatore, prima con la Celeste e poi con le giovanili del Penarol. Oltre che per la classe cristallina, sarà ricordato per il carisma, esercitato in campo e nei rapporti con la dirigenza: otteneva di farsi accompagnare dall’amatissima moglie Angelica anche in ritiro pre-partita, e sapeva farsi autorevole portavoce in ogni trattativa “sindacale” e soprattutto economica. Era infatti famosa per la sua leggendaria tichieria, forse retaggio delle origini liguri. Liedholm racconta che un giorno d’inverno a Genova Schiaffino, indispettivo, aspettò fuori dal bar i compagni per non pagare il caffè quando gli dissero che non era offerto dalla società.
Cento anni dopo, i cultori della materia omaggiano "l’uomo che è venuto da lontano" toccando religiosamente il pane delle comuni memorie calcistiche e volgendo lo sguardo alle costellazioni australi dove, tra le "stelle uruguayane", brilla inconfondibile, come la sua chioma impomatata, l’astro di Juan Alberto Schiaffino, detto Pepe.

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