
Tadej Pogacar è scattato a 12 chilometri dall'arrivo. Nessuno ha retto il suo ritmo. Ha vinto la 12esima tappa del Tour de France 2025 (foto Getty Images)
Il racconto del Tour de France 2025
Tadej Pogacar ha dato ascolto alla voce della montagna
Tadej Pogacar ha vinto la dodicesima tappa del Tour de France 2025 staccando Jonas Vingegaard a dodici chilometri dall'arrivo e infliggendogli 2'10" al traguardo. La dedica a Samuele Privitera
La strada che da Ayros-Arbouix si inerpicava sulla montagna diretta a Hautacam aveva applausi e allez per tutti, ma una voce sola che invocava un nome soprattutto: Pogasciar. Chiamava lui, era lui che la gente voleva vedere davanti. Quasi un’implorazione al dio del ciclismo che abita la montagna.
Tadej Pogacar ha deciso di dare ascolto alla voce della montagna, ha deciso di rendere onore all’affetto di quel serpentone umano che ha occupato i bordi (e non solo) della striscia d’asfalto che saliva verso il pianoro appena sotto la cima del monte che guarda dall’alto Lourdes e la valle segnata dall’Ouysse.
Piace, è amato, anche per questo. Perché è incapace di discriminare gli appassionati che non sono riusciti a salire sino alla cima dei monti.
La salita di Hautacam è stato il luogo della fine delle illusioni per chi credeva, o forse soltanto sperava, che la comunione del talento, la sommatoria delle forze di squadra, potesse avere la meglio sulla vogli di vittoria del campione del mondo.
La salita di Haucatam è stata soprattutto uno schiaffone in faccia a chi pensava che la prima tappa su e giù dai Pirenei potesse essere il luogo del primo duello, finalmente ad armi pari, tra Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard. La loro danza spalla a spalla e ruota a ruota sotto i cucuzzoli pirenaici è durata qualche centinaio di metri e dietro l'incedere violento di Jhonatan Narváez. Poi Tadej Pogacar ha accelerato ancora, Jonas Vingegaard no. Per mezzo chilometro il danese ha fatto credere che potesse reggere, anche se a distanza, il passo dello sloveno. Non era così. Tadej Pogacar si è regalato dodici chilometri di solitudine, una dimostrazione assoluta di superiorità. Ha superato il traguardo con la maglia gialla prenotata e un dito indicante il cielo, con il sorriso nel volto e gli occhi tristi: “Ho pensato a Samuele (Privitera, morto ieri dopo essere caduto nella prima tappa del Giro della Valle d’Aosta, nda) negli ultimi chilometri, ho pensato a quanto può essere duro il nostro sport, a quanto può essere terribile e questa vittoria è tutta per la sua famiglia”, ha detto.
All’arrivo il distacco di Jonas Vingegaard è stato di due minuti e dieci secondi; quello di Florian Lipowitz, terzo, di due minuti e ventitré secondi; Tobias Halland Johannessen e Oscar Onley hanno perso tre minuti; Kévin Vauquelin (che continua a essere l'imprevisto di questo Tour de France) tre minuti e trentatré; Remco Evenepoel tre minuti e trentacinque.
Paradossalmente dopo l’arrivo, il belga aveva un volto più sereno del danese. Perché sul Col du Soulor, la prima salita di giornata, Remco Evenpoel ha rischiato di lasciare tra i Pirenei qualsiasi speranza di podio. Il ritmo imposto dai compagni di squadra di Jonas Vingegaard lo aveva fiaccato, il sole che batteva sul coppino di tutti aveva fatto il resto. Aveva perso una posizione dopo l’altra, poi anche la scia dei pochi superstiti del gruppetto trascinato prima da Victor Campenaerts e poi da Seep Kuss. In quello stesso momento anche Tadej Pogacar aveva fatto una smorfia di fastidio.
La Visma | Lease a bike sembrava ardere di pensieri rivoluzionari, si è prima sciolta e poi dissolta. Alla stessa maniera dei sogni mattutini della Ineos, partita a colpi di grancassa all’attacco di squadra per lanciare Carlos Rodríguez verso il podio e ritrovatasi a constatare l’inconsistenza montana dello spagnolo. Remco Evenepoel sembrava affondare in coda al gruppo dei più forti, si è aggrappato alla sua tenacia e ha continuato a galleggiare, forse distante e in contrasto con la sua immaginazione, ma comunque distante dagli incubi che per qualche chilometro lo avevano raggiunto.
Salendo verso il Col du Soulor il caldo e la fatica hanno scolorito il giallo della maglia di Ben Healy. L’irlandese si è versato addosso litri e litri d’acqua, ha provato a rimanere appeso alla speranza che le difficoltà potessero passare, si è arreso all’evidenza che sulle lunghe salite ha molto da migliorare. Non era venuto al Tour de France per vincerlo, nemmeno per provare a finirlo nelle prime dieci posizioni. Lo aveva aggredito una fuga dopo l’altra, si è preso la responsabilità dell’inseguimento dei cinquanta corridori evasi dal gruppo, ha onorato il simbolo del primato come meglio poteva. Ora inizierà a pensare a come rendere ancora più eccezionale la sua Grande Boucle già eccezionale.