
Foto ANSA
Il Foglio sportivo – IL RITRATTO DI BONANZA
I sogni finiti di Mateo Retegui
Arrivato in Italia, prima al Genoa e poi all’Atalanta, ha dimostrato con i fatti di meritare tutta questa attenzione. Ora è pronto a partire per un’avventura che di calcistico ha solo un’etichetta appiccicata con lo scotch
Non capisco, perché l’uomo si sforza di essere adulto? Non sarebbe molto più bello restare bambini? Conservare un animo semplice, connettendosi con il mondo attraverso un’intimità magica, descritta da qualcuno come la vera porta d’accesso alla vita felice. I soldi, ad esempio, come li maneggia un fanciullo, che cosa sono per lui? Per un bambino i soldi non esistono, rappresentano qualcosa di appartenente ai grandi, ai genitori, un elemento di piccolo scambio con cui acquistare oggetti che occupano la sua fantasia, che so, dei soldatini (si gioca ancora a soldatini in mezzo a tutte queste guerre?), o delle piccole automobili da lanciare in corsa nel salotto di casa.
Che cosa sono i soldi per un ragazzino che tira i primi calci ad un pallone? Non sono nulla, non esistono proprio. Esistono il pallone, la porta, il gol dei sogni, un’esultanza sfiatata come quella che riproduce il suono di uno stadio intero. Niente di più. Non c’è morale in ciò che sto per scrivere, ma solo una sottile amarezza.
Prendo la storia di Mateo Retegui, comprato dai soldi arabi e pronto a partire per un’avventura che di calcistico ha solo un’etichetta appiccicata con lo scotch. Che cosa è rimasto in lui del bambino che era? Credo ben poco. La sua, fin qui, è stata una storia diversa, e per questo più bella. Discendente da italiani emigrati in Argentina, figlio di un campione di hockey, ha scelto la nostra Nazionale per emergere. Il dubbio è sempre stato quello che non fosse troppo all’altezza della Selecciòn, ma di questo non ci sono prove certe. Di sicuro è stato Roberto Mancini a volerlo in Nazionale, alla ricerca di un vuoto da colmare. Arrivato in Italia, prima al Genoa e poi all’Atalanta, Retegui ha dimostrato con i fatti di meritare tutta questa attenzione. Appese a lui, ancora oggi, sono tante delle speranze di conquistare i Mondiali e poi far bene.
La scelta di accettare le offerte dell’Al Qadsiah (ma chi sono?), lo allontana dalle nostre viste, ponendolo sopra un cammello nel deserto. Lo so, cavalco (sopra le gobbe) lo stereotipo di un mondo che non conosco (e che non mi attira affatto), però il calcio saudita per i miei occhi di adulto non esiste. Quando il deserto era soltanto una duna gigante, quattro palme all’improvviso, tappeti volanti e un genio della lampada, avevo pochi anni, forse sei o sette. Sognavo di fare il calciatore e non avevo idea di cosa fossero i soldi. Se oggi me lo chiedessero saprei rispondere: i soldi son quella cosa che quando non ce l’hai, sogni di averli. E quando invece ce ne hai troppi, i sogni son già finiti.


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