
Ultras Cosenza durante la partita tra Bari vs Cosenza 2024/2025 (foto di Donato Fasano/LaPresse)
Il Foglio sportivo
Un viaggio nel mondo ultras in 12 tappe nel libro di Lamberto Ciabatti
La storia e la trasformazione del tifo organizzato raccontato da chi vive le curve degli stadi italiani. "Si parla degli ultras soprattutto come di criminali, e ho sentito l’esigenza di raccontare quel mondo dando voce a chi lo ha vissuto veramente", dice l'autore
"Spalle al campo tutto il tempo, quello che succede nel corso dei novanta minuti lo vivo riflesso nelle facce dei miei amici. E comunque non mi interessa. Non mi interessano vittorie e sconfitte, rigori e parate, falli e punizioni, voglio solo che la curva sia unita e compatta, voglio vederla primeggiare, uscire fiera dallo stadio a prescindere dal risultato. Guardare tutti, uno per uno, quasi responsabilizzandoli con gli occhi, è il segreto per evitare che anche un solo tifoso si senta autorizzato a non cantare”. Nelle parole di Alberto Savarese detto Il Parigino, uno dei capi storici degli Ultras Bari, è raccolta l’essenza di Ultras. Ogni maledetta domenica vincere o perdere non conta (Sem). Il libro di Lamberto Ciabatti rappresenta una storia alternativa dell’Italia a partire dagli anni Settanta, attraverso miti, simboli e rituali di una controcultura irriducibile. Autore tv e documentarista, Ciabatti racconta dodici storie ricostruite tramite interviste a esponenti di curve di tutta Italia, lasciandoli parlare in prima persona. Nessuno a nome del proprio gruppo, ciascuno raccontando la propria esperienza personale. “Ho scritto questo libro essenzialmente spinto dall’interesse per un mondo che avevo frequentato da giovane”, dice Ciabatti. “Quello che mi ha sempre colpito è la grande vivacità di un ambiente antropologicamente interessante perché contiene di tutto: ricchi, poveri, ragazzini e meno giovani. Fino al 2000 la curva è stata un terreno di grandissima sperimentazione, una zona franca all’interno della quale si poteva esprimere la propria creatività”.
Incontrare Ciabatti è anche l’occasione per fare il punto sull’evoluzione del tifo organizzato, oggi che di ultras si parla anche per le indagini riguardanti omicidi e associazioni a delinquere. “Ho scritto il libro anche per questo motivo – dice – Si parla degli ultras soprattutto come di criminali, e ho sentito l’esigenza di raccontare quel mondo dando voce a chi lo ha vissuto veramente. La presenza di infiltrazioni della criminalità nelle curve è conseguenza del fatto che l’illegalità è presente in ogni ambito della società, per cui non c’è da stupirsi che sia successo anche in curva”. Dagli anni Settanta a oggi il mondo del calcio in Italia è radicalmente cambiato, e con esso la sua cornice, di cui gli ultras sono parte rilevante. “Credo che a contribuire in via principale alla trasformazione del tifo organizzato siano state le nuove tecnologie” ragiona Ciabatti. “Ciò che accadeva al suo interno restava là. I cellulari e poi i social hanno spalancato finestre su situazioni in precedenza inaccessibili. Un secondo fattore di cambiamento sono state le misure restrittive e i divieti di trasferta. Prima c’era la libertà di dire: che faccio stasera? Parto e vado a Firenze perché domani c’è la partita. E magari un centinaio di persone saliva su un treno e andava a Firenze. Era una sensazione di libertà quasi irripetibile. Oggi basta accendere un fumogeno all’interno dello stadio per beccarsi un Daspo. Credo che chiudere gli spazi di espressione all’interno degli stadi porterà i giovani a cercarne altri, meno controllati e gestibili dall’autorità”.
A colpire, leggendo il libro, sono l’organizzazione quasi militaresca di molti gruppi e il loro richiamarsi fin dai nomi (commandos, brigate e così via) all’immaginario bellico. Non a caso l’autore cita in esergo I ragazzi di via Pal, liceali che giocavano alla guerra. “L’aspetto del gioco secondo me è importante”, dice Ciabatti. “L’idea di poter girare per l’Italia senza restrizioni, prendere un treno la notte e arrivare all’alba in un’altra città considerata nemica e marciare per le sue strade. Può suonare strano alle orecchie di chi questo ambiente non l’ha vissuto, ma in tutto questo c’è un che di romanticismo”. Meno romantica, almeno sulla carta, è la componente della violenza, della ricerca dello scontro con gli avversari o con le forze dell’ordine. Anche se, puntualizza Nino Ciccarelli, fondatore dei Viking interisti: “Non vogliamo uccidere o ferire gravemente. Il nostro obiettivo è solo siglare con la lama la pelle della vittima, incidere la nostra firma sul suo corpo, niente di più”. “Credo che la violenza sia una componente inevitabile della nostra società” considera Ciabatti. “Nel suo saggio La violenza e il sacro, René Girard dice che compito di una comunità dovrebbe essere circoscrivere ambiti all’interno dei quali ammetterla e regolamentarla, così che venga sfogata in questo modo. Credo che chi la esercita all’interno del tifo lo faccia perché quel contesto ha un suo fascino, ma se non avesse la possibilità di esercitarla allo stadio lo farebbe ugualmente altrove”.


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