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anonimo inglese

Un occhio ai campi di Wimbledon e l'altro agli introiti record del tennis

Dai quadranti Rolex a Lavazza, che serve caffè e cappuccini in tazzine ad hoc, fino al debutto di Hsbc al Queen’s Championship. Popolare come mai prima d’ora, il tennis sta perdendo lo status di sport di nicchia e fa incetta di grandi sponsor 

Quando, nell’estate del 2023, un giovane e soprattutto non ancora numero uno al mondo Jannik Sinner si presentò nel Central Court di Wimbledon, il rinomato campo centrale, lo stesso prato dove nel lontano 1868 un gruppo di inglesi fondò il torneo di tennis più famoso al mondo, il pubblico rimase stupito: il magro e slanciato sportivo italiano scese in campo contro Juan Manuel Cerúndolo portando in spalla non la classica sacca porta-racchette in tela di nylon, ma uno sciccosissimo borsone in pelle, personalizzato, di Gucci. Gli spettatori andarono in visibilio e i fashion victim, che poi sarebbero i tossicodipendenti dai marchi, impazzirono sui vari Instagram e TikTok: tutti volevano la sacca sportiva griffata Gucci.

Il 2023 non fu ricordato, tra i wimbledonologi, o anche semplicemente tra gli amanti di fragole con panna e bicchieroni di Pimm’s, come memorabile per Sinner: uscì in semifinale, battuto dall’allora cyborg ingiocabile Novak Djokovic. Ma nello stesso anno il tennista guadagnò circa 20 milioni di euro dagli sponsor e tra quelli c’era anche la multinazionale Kering, proprietaria della G più famoso al mondo (anche se la maggior parte degli introiti, 15 milioni, all’altoatesino arrivava dallo sponsor tecnico Nike).

 

        

 

Intanto, decine di addetti curano ogni dettaglio, incluse le poltroncine della stazione Southfields della metropolitana, ogni anno decorate per l’occasione con i colori ufficiali della manifestazione. Da oltre 150 anni, l’Aeltc (All England Law Tennis and Croquet Club) organizza l’ineguagliabile torneo: dai campi verde smeraldo irrigati con meticolosità monacale all’edera che avvolge le gradinate, il blasone di Wimbledon poggia su riti immutabili, inclusi gli sponsor: i quadranti Rolex che scandiscono i set, le palline Slazenger, i cappelli e le giacche a righe di Polo Ralph Lauren e pure l’italiana Lavazza che serve i caffè e cappuccini di tutta la manifestazione, in tazzine fatte ad hoc con i colori di Wimbledon (ricercatissime tra i collezionisti). Per questo è stato un mezzo terremoto quando, qualche anno fa, sotto al seggiolone verde dell’arbitro, è scomparsa la tradizionale bottiglia gialla con l’etichetta Robinson’s: l’inglesissima Lemon Barley Water ha divorziato da Wimbledon.

La famosa bibita rinfrescante che da ottantasei anni accompagnava il torneo ed era offerta a tutti i tennisti: una sorta di scaramantica e folcloristica abitudine aveva divorziato da Wimbledon. Il motivo? Come sempre, la pecunia: la limonata è di proprietà di Britvic, una holding che aveva chiesto di servire anche altre bibite, più commerciali, come Pepsi e Gatorade. Eresia per i puristi dell’Aeltc: addio a un contratto da più i tre milioni di dollari. Ma gli organizzatori del torneo, da bravi anglosassoni, non hanno fatto un plissé. D’altronde, non serve fare drammi quando c’è la fila di sponsor alla porta. Persa la limonata, Wimbledon ha imbarcato uno sponsor forse meno “tennistico” ma altrettanto storico e, soprattutto, molto più ricco: Barclays, la più grande banca inglese, è entrata nel tennis, staccando un generoso assegno. Per il disappunto di Amex, la casa americana delle carte di credito, da sempre presenza fissa ai tornei ATP, dove offre le famose radioline blu da mettere all’orecchio per ascoltare le partite con il commento della leggenda John McEnroe.

I meno smemorati forse ricordano che negli Anni Sessanta c’era una filiale di Barclays, proprio sotto le tribune del Centrale. L’accordo, rinnovato nello stesso anno del debutto di Gucci, si dice che valga circa 20 milioni di sterline annue. Le grandi banche commerciali hanno deciso di entrare con forza in uno sport di nicchia, aristocratico per nascita ed elitario per storia, dove la durata degli incontri è da sempre misurato da enormi quadranti Rolex, orologi non proprio per tutte le tasche. Quest’anno, al Queen’s, il torneo che precede Wimbledon, e per molti il vero torneo inglese, campeggiavano le enormi insegne di Hsbc. Tutto il campo, incastrato tra le case popolari (ma oggi costosissime) del quartiere di West Kensington era dominato dal rosso, il colore della banca anglo-cinese (la più grande per capitalizzazione in tutta Europa): è la prima volta che Hsbc sponsorizza il Queen’s Championship, un debutto da 3 milioni di sterline all’anno. Da quando Torino ha rubato a Londra le finali ATP, Intesa Sanpaolo è una presenza fissa sul campo.

Il settore delle sponsorizzazioni nel tennis è in forte crescita. Si stima che quest’anno in Italia raggiungeranno i 115 milioni di euro, con un balzo del 21 per cento rispetto al 2024 e addirittura di oltre la metà rispetto al 2023. L’ingresso di Barclays e il debutto di Hsbc sono solo un antipasto di una nuova tendenza: il prossimo anno, le sponsorizzazioni per il circuito ATP sono stimate in crescita di un altro 50 per cento.

Dopo il lusso – oltre a Gucci anche Brunello Cucinelli ha creato una collezione tennistica, presentata proprio al Queen’s – ora anche i grandi investitori istituzionali hanno scoperto il tennis. La spiegazione, o meglio una spiegazione, la offre Alessandro Belluzzo, avvocato fiscalista, che a Londra gestisce la società Belluzzo International ma soprattutto gestisce i patrimoni di molti tennisti, incluso il ribelle Aleksandr Bublik che ha regalato un dispiacere a Sinner, buttandolo fuori dal torneo di Halle, il “riscaldamento” prima di approdare sul prato verde immacolato di Londra. “Il tennis sta perdendo lo status di sport di nicchia, e dunque grandi banche che per decenni lo hanno snobbato ora hanno iniziato a investirci”. Ma c’è anche un fenomeno più profondo che riguarda l’industria dell’intrattenimento, dove ormai lo sport è finito: “Il tennis è l’esatto opposto del calcio: è molto più divertente e coinvolgente dal vivo che in tv, dove risulta noioso, con il suo punteggio astruso e le partite interminabili, che molto poco si adattano ai ritmi televisivi. Il calcio, invece, si apprezza meglio in tv che allo stadio dove i giocatori sono lontanissimi”. La macchina mondiale, non quella di Paolo Volponi ma quella del divertimento, ha sempre più fame di eventi dal vivo, che attraggono un pubblico “ricco” perché è un’esperienza unica, non ripetibile e non godibile dal divano di casa. Il tennis, per questo, è perfetto.

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