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Il Foglio sportivo

Il golf cerca nuovi eroi all'Open d'Italia

Corrado Beldì

L'Italia non ha più giocatori nei primi posti in classifica ma può offrire buoni talenti per il futuro. C'è bisogno di facce nuove, il golf italiano vive troppo spesso di exploit, serve una spinta collettiva, un’accelerazione dal basso

Può sembrare solo un promontorio affacciato sul mare ma chi conosce il gioco sa che un tee nel bel mezzo dell’Argentario non può che riservare sorprese. Il vento che scende dalla macchia plasma le traiettorie, il profumo dei ginepri può distrarre, le ombre dei pini cambiano a ogni ora la percezione del campo. Per la prima volta nella sua storia, ma sono passati cent’anni dalla prima edizione, l’Open d’Italia si gioca su un campo dove la bellezza fa parte della sfida. I fairway mossi, i green stretti, le partenze arretrate, ci sarà da divertirsi mentre ancora si sente l’eco della Ryder Cup giocata a Roma. Il golf italiano non sarà mai più come prima, respira piano come dopo una corsa in salita, prova a ritrovare ossigeno nei suoi volti migliori.  Guido Migliozzi è ancora troppo discontinuo ma resta l’azzurro in grado di giocare i colpi più spettacolari. Gregorio De Leo è la novità dell’anno, il passo buono di chi sa stare in campo senza voler strafare e forse l’esplosione non è così lontana. C’è un gran bisogno di facce nuove, il golf italiano vive troppo spesso di exploit, serve una spinta collettiva, un’accelerazione dal basso.


Cristiano Cerchiai, presidente di Federazione da poco eletto, è chiamato a costruire un progetto che tenga insieme agonismo, promozione e territorio. Un Open d’Italia non è solo un torneo, ma una cartolina che finisce sulle scrivanie più importanti, agli occhi di chi decide. Qui all’Argentario, tra ulivi bassi e bunker scolpiti come vasche etrusche, racconteremo un campo che non ha precedenti in tornei di primo livello ma può sorprendere con pendenze invisibili e rough di spessore e densità spesso superiori alle aspettative di un qualunque giocatore del tour. Nulla è lasciato al caso, le difficoltà fanno parte del gioco. Il percorso è pronto a regalare una buona dose di tensione. Solo chi saprà interpretarla al meglio sarà campione. Tra i primi dieci dell’ordine di merito ci sono l’inglese John Parry, il norvegese Kristoffer Reitan, il neozelandese Daniel Hillier, il francese Martin Couvra e il sudafricano Shaun Norris oltre a 15 vincitori stagionali. Una presenza straniera nutrita, segno che l’Open d’Italia ha trovato nel DP World Tour una collocazione attraente, un montepremi da 3.250.000 euro e un primo premio di 510.000 che rende ancor più interessante la sfida a chi vuole scalare la vetta della Race to Dubai. Si potrà vedere un golf di grande livello e intuire, tra le difficoltà del campo, chi ha la stoffa per dire qualcosa di più. Nessuno, insomma, verrà a farsi una passeggiata.


Resta il ricordo di chi ha tracciato i primi swing e fra loro Alfonso Angelini che merita almeno una menzione, non solo perché fu maestro di tanti giocatori, tra cui chi scrive, per le tantissime vittorie e i quattro secondi posti nel nostro Open, ma soprattutto per aver rappresentato l’Italia in tutta Europa, insieme agli altri due moschettieri Ugo Grappasonni e Aldo Casera, in anni in cui il nostro golf era solo uno sport per pochi. Memorabile la sua stagione del 1957, chiusa con un successo allo Swiss Open che lo rese tra i giocatori europei più temuti e rispettati sul gioco corto. Angelini insegnava con gli occhi prima che con le parole, basterebbe questo per spiegare l’eleganza applicata al gesto atletico. Nel fine settimana si parlerà già di Ryder Cup, le classifiche si allungano e ogni birdie può valere un posto in squadra. Tommy Fleetwood, Tyrrell Hatton, Robert MacIntyre, Shane Lowry, Sepp Straka e Rasmus Højgaard sono quasi appaiati e destinati a giocarsi tutto fino all’ultimo, l’ombra lunga di Rory McIlroy non basta più a coprire una corsa che si fa sempre più tesa. L’Italia non ha giocatori nei primi posti in classifica, ma può offrire buoni talenti per il futuro. Magari proprio qui, tra l’Argentario e il Tirreno, qualcuno riuscirà a convincere il capitano Luke Donald che la squadra europea ha bisogno di un volto nuovo, magari un esordiente in grado di giocare sotto pressione, capace di leggere il campo, di tagliare il vento, di sfoderare nel momento decisivo il colpo in grado di fare la differenza.

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