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il voto al coni

Storie, intrecci e segreti del potere romano che detta i tempi allo sport

Alessandro Catapano

La politica nel mondo dello sport non funziona come la politica fuori dallo sport. Reti e poteri dietro il Comitato olimpico nazionale italiano

Regola numero uno: non ci si inventa kingmaker elettorale. Regola numero due: a contare i voti il migliore è Giovanni Malagò (questa l’ha detta Franco Carraro, che di elezioni se ne intende, e anche ieri ha portato a casa il risultato). Regola numero tre: al cavaliere nero (alias Malagò) non gli devi rompere… (questa, appena più colorita, la diceva Gigi Proietti). Ma in premessa, va ricordato, e sarà la centesima volta, eppure continuano a non capire, che le regole della politica non valgono per la politica dello sport. Questo variopinto microcosmo – mica tanto micro, il Coni, il suo organo di governo, il suo parlamentino, le federazioni, gli enti di promozione, le discipline associate, i tecnici, gli atleti, mal contate quattordici milioni di persone rappresentate – non sempre è sintesi fedele dell’universo mondo, si regola con leggi, scritte e non, proprie, che all’esterno spesso risultano incomprensibili o, addirittura, provocano indignazione.


Dagli illimitati mandati dei presidenti delle federazioni sportive (attenzione, comincia a girare nei corridoi la voce che il governo voglia renderle pubblicistiche come il Coni), a una certa ritrosia a rassegnare le dimissioni, fino alla complessità di un sistema elettorale che tiene fuori dalla giunta (l’organo di governo del Coni) tutte le federazioni più importanti o con più tesserati, Calcio, Tennis, Atletica, Ciclismo, Pallavolo, Basket, e butta dentro Danza sportiva (la sua presidente, Laura Lunetta, è risultata la più votata e forse un giorno sarà lei ad avere la chance di rompere quel tetto di cristallo che ancora oggi impedisce alle donne di guidare lo sport italiano, ne sa qualcosa la Salis), Sport equestri, Motociclismo, Vela. Per qualcuno, la conferma che il Coni post Malagò parte ridimensionato solo per aver perso la sua guida carismatica (e che il suo successore, Luciano Buonfiglio, provenga dalla Canoa, in qualche modo ne sarebbe la prova regina): vero, ma non del tutto. 


E qui dobbiamo tornare al cavaliere nero, che hanno fatto evidentemente arrabbiare. Sentiva di meritare un altro mandato, come i presidenti federali: non hanno voluto cambiare la legge, che modificata qua e là per tutti, tranne che per lui, è finita per diventare una norma ad personam; chiedeva una proroga per arrivare a Milano-Cortina, olimpiade portata a casa quasi unicamente grazie a lui, da presidente del Coni, non gliela hanno concessa. Allora, si è messo in testa di far eleggere come suo successore Luciano Buonfiglio, signore della Canoa, dirigente serio e capace, un uomo di macchina come si diceva un tempo nelle redazioni dei giornali dei capi desk (più volgarmente definiti culi di pietra), non una bella gioia (questa è dell’Arpino di “Azzurro tenebra”), insomma ben lungi dal profilo del mattatore (ma forse, come canta Alex Wyse, dopo Malagò non ci sono più rockstar). E lo ha fatto vincere, anzi stravincere contro l’avversario, il fu presidente del Cip Luca Pancalli, sostenuto dal ministro dello Sport, Andrea Abodi, che un tempo gli era sodale, poi se ne è piano piano allontanato, e oggi gli è contraltare, salvo quando entrambi indossano la maglia dell’Aniene nei tornei di calcetto che ancora tirano in riva al Tevere. A proposito, il tanto vituperato metodo Aniene, società sportiva (non militare) più forte d’Italia, evoluzione della specie dei salotti romani, si conferma vincente, nonostante gli anni passino e le coperture politiche vengano a mancare.

E’ noto come sia sceso il gelo tra i due: Malagò aveva avuto confortanti rassicurazioni dalla Meloni in merito a una proroga del suo mandato, ma Abodi, che con la premier, si sa, vanta un’amicizia trentennale e ha battuto le strade di Roma agli esordi della militanza politica, ha fatto di tutto per convincerla a rimangiarsi la parola. Risultato: Malagò a casa (non proprio, è bene ricordare che comunque vada resterà a lungo membro Cio e, quindi, in giunta Coni, e poi lo sappiamo tutti che al prossimo giro potrebbe ricandidarsi), ma pure Pancalli non se la passa tanto bene. Abodi sconfitto sul suo terreno (come si dice a Roma, gli ha levato la sete con il prosciutto), cioè la politica: intuendo come la scelta di puntare su Pancalli non provocasse entusiasmo nel resto del governo, soprattutto chez FdI, Malagò ha lavorato di fino per garantire un trionfale ingresso in giunta (55 voti) al presidente di Opes e fratello d’Italia Juri Morico, e a poche ore dal voto ha pronunciato il già celebre endorsement per le capacità di Giorgia e l’avvenire della nazione (ipse dixit). Affettuosità che ieri, sorprendendo solo gli ingenui, la Meloni ha ricambiato.


Con una trama perfetta, compreso il colpo di scena finale, l’accordo con Carraro – dicono chiuso proprio all’Aniene – che ha portato Calcio e Basket a Buonfiglio, Malagò ha fatto quasi l’en plein: la Bianchedi vicepresidente vicaria, il fedelissimo Di Paola (equitazione) l’altro vice, della Lunetta abbiamo già detto, pure Ettorre (Vela), da sempre vicinissimo, in giunta. E soprattutto, con grande godimento personale, ha lasciato un’altra volta Binaghi con un palmo di naso. Il Tennis macina risultati e milioni di euro (anche pubblici), ma la politica, decisamente, non fa per l’ingegnere sardo.

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