Ansa 

Il Foglio sportivo

Il Bologna è arrivato per restare

Marco Gaetani

Dietro il successo c’è una società solida con una catena di comando chiara. Un presidente che investe senza eccedere, che si fida del suo amministratore delegato e del direttore sportivo: un progetto solido che rassicura i tifosi

Così stanco da non dormire, le due di notte non c’è niente da fare. Ce lo immaginiamo così, come da abbagliante incipit di Stella di Mare di Lucio Dalla, il tifoso del Bologna a passeggio per le strade di Roma qualche ora dopo aver visto Lorenzo De Silvestri alzare verso un cielo che conosce benissimo una Coppa Italia che rappresenta il coronamento di un percorso societario e tecnico semplicemente impeccabile. Una camminata sognante, inebriata, con il corpo stanco per i festeggiamenti, l’attesa di un treno di ritorno che non è mai parsa così dolce e la testa affollata da pensieri che solo fino a un paio d’anni fa parevano impossibili da immaginare, quasi oltraggiosi. Il Bologna è uscito da un tunnel in cui sono ancora intrappolate tante squadre del nostro campionato, quello di una metà classifica che non cambia mai, stagioni che finiscono ancor prima di cominciare e un lento trascinarsi verso il traguardo, faticoso, snervante, straziante. Spesso, negli anni scorsi, si è parlato in maniera poco lusinghiera della gestione di Joey Saputo, che all’anagrafe, e non va dimenticato, fa in realtà Giuseppe: la sua anima italiana gli ha consigliato di non fare mai il passo più lungo della gamba, anche a costo di rischiare qualcosa, e oggi tutta questa attesa, questa mirabile capacità di ponderare ogni singolo step, ha pagato. 


Il crocevia dell’Olimpico aveva il retrogusto dell’imboscata: troppo imprevedibile il Milan per immaginare un andamento lineare della finale, troppo ricca di talento la formazione di Conceição per non temere un improvviso cambio di rotta, anche sul più bello. Invece il Bologna ha fatto valere la legge del più forte, dello studente che si è preparato bene per tutto l’anno e arriva all’esame di maturità senza nemmeno sentire nello stomaco il magone della vigilia. Ha giocato come ha sempre fatto agli ordini di Vincenzo Italiano, l’uomo che ha reso possibile l’impossibile: si pensava che Thiago Motta avesse messo l’asticella troppo in alto. Lo pensava Italiano stesso, scettico e dubbioso al momento della corte spietata di Giovanni Sartori. Si è lasciato sedurre dal progetto messo in piedi da un uomo che ha saputo ripetere, in tempi se possibile persino più rapidi, lo stesso capolavoro che aveva creato a Bergamo: lì aveva preso un club in zona salvezza e l’aveva lasciato in Champions League, qui ha dato un calcio alla malinconia e riacceso le speranze di una città che ha invaso Roma nel ricordo e nella speranza di poter vivere il proprio momento generazionale da ricordare all’interno dell’Olimpico, come era accaduto a chi aveva assistito allo spareggio scudetto del 1964.


Aveva già pianto, a Roma, Vincenzo Italiano. Lo aveva fatto dopo una finale di Coppa Italia persa contro un’Inter troppo più forte della sua Fiorentina. Era diventato in fretta l’uomo che non riesce a compiere l’ultimo passo, quello decisivo, complici i due scivoloni contro West Ham e Olympiacos in Conference League. Quanto veleno e quanto fango sparsi nei confronti di un allenatore certamente divisivo per il suo modo di intendere il calcio eppure sempre capace di raggiungere l’obiettivo prefissato a inizio stagione, spesso ritoccandolo verso l’alto, dall’Arzignano Valchiampo fino a Milan-Bologna 0-1, e in mezzo Trapani, Spezia, Fiorentina. Accarezzato da quel clima di tarda primavera che a Roma ti consente di girare con le maniche corte anche quando il sole se ne va a dormire, in un Foro Italico che a pochi metri di distanza ammirava le geometrie esistenziali di un Lorenzo Musetti intento a demolire le già misere certezze di Sascha Zverev, Italiano è schizzato verso la tribuna al triplice fischio di Mariani, le braccia larghe e irrefrenabili, impazzito di gioia per una vittoria costruita col lavoro, la tenacia, la lucidità. Il suo Bologna, dopo un avvio di partita reso complicato da un paio di fiammate rossonere, ha recitato uno spartito che conosce a memoria. Ha aggredito, aggredito, aggredito. Ha offuscato Reijnders e Pulisic, ha mandato in confusione Leao, ha demolito Theo Hernandez sempre costretto a rincorrere Orsolini, che per una sera non ha bussato alla telecamera, ma si è comunque tolto le sue soddisfazioni entrando nel gol decisivo di Ndoye. Ha anche picchiato quando c’era da picchiare, rischiando grosso con Ferguson. Ma aveva un piano, il Bologna, un piano che il Milan non ha mai avuto. 


A Bologna le cose funzionano perché c’è una catena di comando chiara. Un presidente che investe senza eccedere, che si fida del suo amministratore delegato (Claudio Fenucci), del già citato responsabile dell’area tecnica Sartori e del direttore sportivo Marco Di Vaio, che a fine partita passeggiava con De Silvestri con lo sguardo sognante, entrambi avvolti dalla città che li ha visti crescere e spiccare il volo verso altri orizzonti. Ed è proprio questa solidità di progetto che deve rassicurare i tifosi del Bologna: no, non sarà un’avventura, come cantava un altro Lucio, meno avvezzo ai portici rispetto al collega. Risuonavano le note e la voce di Dalla nel cuore dell’Olimpico, cantate a squarciagola dal popolo rossoblu, da uno stravolto Cesare Cremonini, da Gianni Morandi e Luca Carboni, mentre il tartan della pista d’atletica diventava il teatro improvvisato di una festa di piazza. Italiano con i suoi ragazzi è già in Europa League, teoricamente potrebbe ancora dare l’assalto al clamoroso ritorno in Champions League, ma si vedrà: è lecito pensare che i meritati festeggiamenti possano togliere qualcosa al finale di un campionato che il Bologna ha comunque interpretato in maniera magistrale. Vincere aiuta a vincere e soprattutto rende la piazza rossoblu ancora più appetibile in vista di un mercato in cui, per una volta, non fanno paura le sirene delle grandi: dopo gli addii di Zirkzee e Calafiori in pochi avrebbero immaginato un’altra stagione di questo livello. Adesso c’è una consapevolezza diversa, la certezza che questa squadra è arrivata per restare. E anche se Stella di mare parlava di tutt’altro, ce ne prendiamo comunque un altro pezzetto. Perché la barca del Bologna non naviga. Vola, vola vola.

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