
Il Trofeo senza fine, il premio che viene dato al vincitore del Giro d'Italia (foto LaPresse)
Il Foglio sportivo
Passa il Giro d'Italia, è ora di liberare la fantasia
La corsa è partita dall'Albania. Attese, speranze, evasioni in bici in un paese che sa ancora aspettare a bordo strada
Sì, anche se è partito da Durazzo, Albania, è il Giro d’Italia. Sì, anche se non tocca tutte le regioni, anche se ci sono più tappe al nord che al sud, è comunque il Giro d’Italia. Non è e non è mai stata una Onlus, la corsa rosa. Non può accontentare tutti, non può arrivare ovunque e quasi mai passa proprio sotto casa. E poi, diciamocelo, anche se fosse stato tracciato diversamente molti avrebbero trovato in ogni caso qualcosa da ridire. E questo è un bene, vuol dire che il Giro d’Italia è ancora vivo, è ancora atteso, ha ancora qualcosa da dire nonostante siano passati centosedici anni dalla prima volta che è stato corso e quella iniziata in Albania sia la 108esima edizione.
Martedì 13 maggio il Giro d’Italia ripartirà dal territorio italiano, da Alberobello, per risalire la penisola. Lo farà ancora una volta con attorno tutto l’entusiasmo di un paese che lo aspetta ogni maggio, pronto a scendere in strada, a bordo della carreggiata, per vedere passare i corridori. Perché al di là dei lamentoni cronici, il passaggio della corsa è ancora qualcosa che attrae centinaia di migliaia di persone. Quelle biciclette che ronzano di pedalate di gruppo o solitarie sono ancora un richiamo capace di far uscire la gente di casa, chiedere qualche ora di permesso al lavoro, giustificare ferie, pause, pure evasioni. E non solo metaforiche.
Il 4 giugno del 1974, quattro persone – Mauriziano Felet, Dario Fregolent, Aristide Moscon e Dario Litti – riuscirono a evadere dal carcere di Belluno. In qualche modo (mai chiarito, hanno riferito alla polizia di aver camminato) riuscirono a raggiungere prima Cortina e poi la strada che saliva alle Tre Cime di Lavaredo. Lì, in mezzo a migliaia di altri appassionati, videro José Manuel Fuente salire zompettando verso l’arrivo. Soprattutto videro Gianbattista Baronchelli staccare Eddy Merckx di quasi trenta secondi. In qualche altro modo (mai chiarito) l’indomani si mischiarono alla folla che attendeva i corridori sulle rampe del Monte Grappa per l’ultima grande tappa di montagna di quella edizione del Giro d’Italia. Quel giorno Gibì Baronchelli non riuscì a staccare Eddy Merckx di quei dodici secondi che gli avrebbero permesso di vincere la corsa rosa. Il 10 giugno i quattro si consegnarono alla polizia di Belluno. Si narra che dissero: “Ci dispiace, non volevamo creare problemi, ma Gibì poteva vincere il Giro e aveva bisogno anche del nostro supporto”. I complici che gli aiutarono negli spostamenti non furono mai trovati; i quattro se la cavarono con otto mesi in più di carcere.
Di evasioni, questa volta ciclistiche, ce ne saranno molte. Va così ogni anno. Si scappa dal gruppo per avere una possibilità di vittoria, anche se remota. Si scappa dal gruppo perché il ciclismo è una lunga storia di speranze quasi sempre mal riposte e inseguimenti. Da Alberobello a Roma di occasioni ce ne sono parecchie. Quello di quest’anno è un Giro d’Italia pieno di insidie, di possibilità da cogliere e da crearsi. Perché ci sono tappe che sembrano facili, ma facili non sono e serviranno gregari dalle buone gambe e dall’enorme voglia per tenere controllata una corsa dove non c’è un corridore di gran lunga più forte degli altri. Sia Primoz Roglic che Juan Ayuso hanno le loro incertezze con le quali convivere, nonostante siano entrambi molto forti e molto motivati. E nemmeno i velocisti che ci saranno al via sono del tutto convinti di essere meglio degli avversari. Per questo avventurosi e coraggiosi potranno avere un po’ più spazio di quello che di solito riescono a ritagliarsi.
Quel che è certo, o meglio sembra certo, è che servirà essere pazienti. Le salite, o almeno quelle lunghe, dure, sfibranti, quelle capaci di dilatare i distacchi e rendere vittorie e maglia rosa una questione tra pochissimi, sono tutte concentrate negli ultimi sette giorni di corsa. Prima del Monte Grappa (domenica 25 maggio, 15esima tappa) di metri di dislivello ce ne sono tanti, tantissimi, ma di salite capaci di sussurrare “attacca” agli scalatori ben poche. Anzi una: l’Alpe di San Pellegrino, appennino tosco-emiliano. È però a novantatré chilometri dall’arrivo di Castelnuovo ne’ monti (21 maggio, 11esima tappa).
Servirà fantasia per evitare che tutto il Giro d’Italia si trasformi in una lunga attesa per il gran finale alpino. Chi ha la facoltà di sognare, di immaginare epiloghi alternativi, o anche solo di sperare che possa accadere l’inconsueto, vede sfogliando il Garibaldi (la guida del Giro con tutte le informazioni, le mappe, le altimetrie delle tappe che dal 1961 così è soprannominata: in quella edizione c’era un’immagine di Giuseppe Garibaldi in copertina in onore del centenario dello stato italiano) molte possibilità da cogliere, molte tappe nelle quali si può sorprendere il gruppo. Tipo l’ottava, la Giulianova – Castelraimondo, 197 chilometri di salite e discese, alcune lunghe, altre corte ma verticali, curve in continuazione da aver il mal di bici. Sempre che esista: qui si dubita.
Quest’anno i corridori ci hanno regalato corse che sono state un lunghissimo susseguirsi di scatti, tentativi di fughe, evasioni solitarie da decine e decine e decine di chilometri. E spesso, almeno lassù nelle Fiandre, c’era di mezzo Mads Pedersen. Il danese sarà al via di questo Giro d’Italia. E in gruppo ci sarà anche un altro corridore che non ha paura di osare: Wout van Aert. Né Pedersen né van Aert hanno ambizioni di vincere la corsa rosa. Chi invece punta a una buona posizione dovrebbe fare attenzione a loro, seguirli, a costo di sfidare il buon senso. Lo scopo però è nobile: ottenere una vittoria di tappa, un podio, l’illusione di potercela fare.
Altrimenti si arriverà all’ultima settimana, all’eccesso di salita, alle montagne che respingono sempre chi non le ama abbastanza. Quanto meno quest’anno di arrivi in salita ce ne sono pochi e attendere troppo non sempre sarà possibile.

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