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Il Foglio sportivo
Quelli che attendono il Giro d'Italia
Illusioni e disillusioni del fine settimana prima dell’inizio della Corsa Rosa
Il fine settimana prima dell’inizio del Giro d’Italia è una terra di mezzo piena di attesa nella quale si vive di certezze piene di entusiasmo o di dubbi pieni d’ansia.
C’è chi sa che meglio di così non poteva andare e si sente la gamba che gira fluida fluida alla maniera di una catena nuova e ben oliata. Tutta gente che ha avuto l’avvicinamento al Giro che voleva, che ha corso tutto quello che doveva correre e alla maniera nella quale doveva correre. Ottimisti del pedale.
C’è chi al contrario sente che il tempo si avvicina troppo velocemente e che Durazzo, dove venerdì 9 maggio inizierà la Corsa Rosa, è ormai fuori dalla porta, a poche centinaia di metri, ma tutte in salita e al 20 per cento. Corridori che hanno avuto un inverno o una primavera pieni di problemi, appesantiti da zavorre di pensieri diventati paure. Pessimisti della pedalata.
Tutta gente, ottimisti e pessimisti, che dal Giro d’Italia si aspettano qualcosa: una buona posizione, la maglia rosa, un vittoria di tappa. Insomma, tutta gente che attende le tre settimane abbondanti che vanno dal 9 maggio al primo giugno, che uniscono Durazzo e Roma, per trovare il loro posto nella geografia del ciclismo.
Poi ci sono gli altri. E gli altri sono i più, la maggioranza assoluta. Quella senza la quale, lo sanno benissimo quelli che fanno parte della minoranza, non ci sarebbe il ciclismo. Quelli per i quali il Giro d’Italia è una sofferenza di chilometri in testa al gruppo a tirare e chilometri in coda al gruppo a prendere borracce dall’ammiraglia, a portare mantelline e manicotti, a dar man forte ai capitani. E mica solo in bicicletta. Soprattutto giù di sella. Perché i gregari non si limitano a tirare e rincorrere, ad accelerare il ritmo in pianura e in salita, a concedere ai capitani la bicicletta quando c’è un problema. Devono fare pure da balie e da psicologi, cercare di distruggere le insicurezze altrui, cercando di evitare di pensare alle proprie. Forzati del pedale.
Nel fine settimana prima dell’inizio del Giro d’Italia, ottimisti, pessimisti e forzati del pedale attendono che la settimana passi, che il tempo dell’attesa diventi il tempo della corsa, che quelle dannatissime e meravigliose tre settimane tinte di rosa inizino, così almeno non si penserà più al dopo, al futuro, ma si potrà a iniziare a concentrarsi solo sul presente e sulla fatica che inesorabilmente si accumula nelle gambe, riuscendo però a sgombrare, almeno in parte, la testa. Perché in fondo la bicicletta è uguale per tutti. Sia per gli appassionati con la pancetta, sia per i corridori da quarantamila chilometri l’anno e con il numero di gara sulla schiena. Affatica il fisico, ma sgombra la testa.
A patto di rimanere in piedi, di non assaggiare il gusto ferroso e fetido dell’asfalto. Perché a chilometri e salite alla fine ci si fa al callo, alle botte e alle escoriazioni no. E sono le botte e le escoriazioni quelle che ti segnano il fisico e il morale, che ti fanno tirare bestemmie piene della consapevolezza di un’occasione persa, della tristezza della constatazione che non era così che doveva andare.
Il fine settimana prima dell’inizio del Giro d’Italia è l’ultimo weekend dove tutto è possibile, dove si può ancora esaltarsi o deprimersi senza che nulla sia davvero compromesso. Poi ci saranno solo bici, chilometri e salite e discese da affrontare.