Nel deserto

Il sogno infinito di Sébastien Loeb, il cannibale del rally

Umberto Zapelloni

È uno dei piloti più vincenti di sempre, ma a 50 anni ha deciso di ripuntare alla Dakar dove ha conquistato 28 tappe, ha finito tre volte secondo e due volte terzo, ma non ha ancora vinto

Se lo chiamano cannibale un motivo ci sarà. Sébastien Loeb è uno dei piloti più vincenti di sempre. Nove volte campione del mondo rally, ha vinto dovunque. In pista, in strada, arrampicandosi a velocità folle sulla Pike’s Peak. Ma a 50 anni non ha ancora smesso di sognare ed ha deciso di ripuntare alla Dakar dove ha conquistato 28 tappe, ha finito tre volte secondo e due volte terzo, ma non ha ancora vinto. Di tempo ne ha se consideriamo che Carlos Sainz senior l’ha appena vinta per la quarta volta a 61 anni. Lui un record simile ce l’ha già: con il successo nel Rally di Montecarlo del 2022, all’età di 47 anni, 10 mesi e 28 giorni, è diventato il pilota più anziano ad aggiudicarsi una gara del campionato del mondo. Di vittorie nei rally mondiali ne conta addirittura 81, delle gare storiche gli manca solo il Safari, ma nessuno ha vinto quanto lui che è salito 120 volte sul podio. E’ lo Schumacher o l’Hamilton dei rally. Scegliete voi.

E pensare che fino a 15 anni il piccolo Seb voleva fare il ginnasta. In effetti ha un fisico alla Jury Chechi, ma lui le acrobazie ha preferito continuare a farle in auto. E non contento di essere il re dei rally ha corso e vinto dovunque tranne che alla Dakar che ha cominciato a frequentare quando si correva ancora in Sud America nel 2016 con la Peugeot. Quella che scatterà il 3 gennaio in Arabia, sarà la sua nona sfida al più famoso dei rally raid. L’inizio di una nuova avventura firmata Dacia, il brand (una volta low cost) di Renault che è al debutto nel deserto con tre equipaggi decisamente ambiziosi, Sebastien Loeb, Nasser Al-Attiyah, il principe del Qatar che ha vinto 5 volte la Dakar (una volta con Volkswagen, una volta con Mini e tre con Toyota e Cristina Gutiérrez.

“Ho capito subito - ha detto Loeb a Milano - che questo progetto era molto ambizioso con grande attenzione ai dettagli. In Marocco nella gara d’esordio che abbiamo utilizzato per gli ultimi test pre Dakar,  abbiamo dimostrato di essere competitivi. Per questo siamo fiduciosi. Sappiamo che è una gara lunga e difficile, ma sappiamo di poter lottare per il successo.” L’avversario da battere, oltre al suo compagno Al-Attiyah, sarà ancora una volta Carlos Sainz, che l’anno scorso ha vinto con la Audi ibrida e quest’anno correrà con un Ford Ranger Raptor della M-Sport.  “Ho fatto secondi e terzi posti, ma non ho mai vinto. Per farlo serve anche l'affidabilità della macchina, il team. È sempre mancato qualcosa e sappiamo che dovremo mettere tutto assieme. La macchina va forte e lo abbiamo visto in Marocco, dove abbiamo fatto doppietta. Dovremo essere affidabili e bravi nella guida e nella navigazione, ma partiamo per vincere".

Il buggy di Loeb, firmato Dacia è realizzato dalla Pro Drive e spinto da un motore studiato dall’Alpine. La Dacia Sandrider  che gareggia nella categoria FIA Ultimate T1+, è un prototipo lungo 4,140 metri, largo 2,290 ed alto 1,81, spinto da un motore V6 da 3 litri, sovralimentato con doppio turbo, con potenza 360 CV ed una coppia massima di 539 Nm, trazione integrale e cambio sequenziali a sei rapporti. “All’inizio avevamo un problema di visibilità e di temperature, ma li abbiamo risolti. Adesso la visibilità è buona anche quando si sale su dune immense e per tenere sotto controllo le temperature abbiamo fatto degli interventi dopo la gara in Marocco. Non è un problema per noi piloti, ma piuttosto per l’auto. Quando andiamo veloci l’areazione non è un problema, ma ci sono fasi durante un raid in cui si procede piano in salita e lì deve intervenire il sistema di cooling. Abbiamo lavorato anche sulle sospensioni perché sapevamo di dover evitare la quantità di forature avute con la Hunter l’anno scorso. L'abbiamo alleggerita e resa facile anche nei cambi gomme. Secondo me siamo pronti. Io le gomme le so cambiare, qualche intervento meccanico lo posso fare. Ma in queste auto c’è anche tanta elettronica e lì non serve essere anche meccanici come si diventa quando si corre la Dakar”.

La bellezza di questa gara che negli anni ha cambiato scenari un sacco di volte, passando dall’Africa al Sud America per arrivare in Arabia, è racchiusa in una parola sola: avventura. È quella che ripete anche Loeb, quando gli si chiede di raccontare la differenza con i rally: “Quello che affascina della Dakar è l’avventura. Nei rally tutto si brucia in fretta e oggi si conclude in tre giorni. Alla Dakar c’è addirittura una tappa lunga 48 ore in cui siamo solo io e il mio navigatore. Si vedono scenari incredibili e davvero l’emozione è più lunga, diffusa, dura due settimane. Certo può capitare di ritrovarti in mezzo al nulla seduto su una gomma ad aspettare l’assistenza. Ma l’emozione che trovi a guidare in certi posti la puoi davvero provare solo alla Dakar”. Una volta lo chiamavano mal d’Africa. Oggi che l’Africa non c’è più sulle cartine è solo il richiamo della Dakar a colpire.

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