Gli scacchi presi con filosofia

Una scacchiera per Moro, il poker per Berlinguer

All’interno di dicotomie come poker-scacchi, divertimento popolano e nobil giuoco, Partito comunista-Democrazia cristiana, sono sempre presenti punti di avvicinamento, convergenze parallele. Il film sul segretario comunista di Andrea Segre e Mikhail Tal

Berlinguer - La grande ambizione” è l’eccezione. Raramente, infatti, i prodotti cinematografici sono attenti ai dettagli delle sessantaquattro caselle (vedi l’errore clamoroso ne “Il settimo sigillo”, l’orientamento errato della scacchiera nella partita a scacchi con la morte), ma non è questo il caso: il film di Andrea Segre racconta la vita privata e pubblica del segretario del Pci e regala agli scacchisti un sorriso, contenti di vedere sul grande schermo il loro piccolo mondo, e felici quando le cose sono fatte per bene. Salvo per un particolare (sarò pignolo). Al centro della scena di un incontro fra Berlinguer e Aldo Moro, nel pieno della stagione del compromesso storico, c’è una scacchiera. Una scacchiera, non una partita.

Il primo, Berlinguer, confessa al secondo di non conoscere le regole del gioco e di preferire l’amato poker dei circoli sassaresi. Allora Moro può mostrare di conoscere natura e storia degli scacchi, e affermare di vedere bene la sostanziale differenza tra i due giochi. Dopodiché, però, prova ad accostarli e cita uno scacchista sovietico, ormai ex campione del mondo, descrivendo il suo stile azzardato come il bluff nel poker. E’ Mikhail Tal, il mago di Riga, noto e amato per le sue combinazioni complicatissime, per i fuochi di artificio inscenati con i trentadue pezzi; lui stesso diceva che cercava di trasformare le posizioni in selve oscure dove due più due è uguale a cinque. La metafora sotterranea è molto potente: all’interno di dicotomie come poker-scacchi, divertimento popolano e nobil giuoco, Partito comunista-Democrazia cristiana, sono sempre presenti punti di avvicinamento, convergenze parallele. 

Ma io ad  Moro devo dare torto: gli scacchi sono gli scacchi e il poker è il poker. E la principale differenza è che solo il primo è un gioco a informazione completa, dove cioè la conoscenza è totale e condivisa dall’avversario. Non c’è bluff, c’è invece la possibilità dell’errore di entrambi, sulla quale si può basare uno stile di gioco più aggressivo come era quello di Tal. Anche lui, quando non era sicuro dei suoi sacrifici, li eseguiva sulla base di considerazioni posizionali, o legate al tempo sull’orologio, o ancora per motivi psicologici. E’ la dimensione umana del gioco, non l’azzardo. Aggiungerei di più: quando queste caratteristiche vengono meno, come in politica, dove l’informazione è tutt’altro che totale e anzi il suo controllo è parte essenziale della politica stessa, non si può dire di giocare a scacchi, nemmeno per metafora. Lo sa bene un signore anziano che conosce entrambi questi mondi, un certo Garry Kasparov, il più grande di tutti, che ne parlò a “Propaganda Live” poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Stufato (direi legittimamente) di questi paragoni, disse chiaro e tondo che Putin non è affatto un giocatore di scacchi, ma appunto un giocatore di poker e solo di poker. E che il suo  è un bluff che va chiamato.

La partita: Mikhail Tal vs. Johann Hjartarson, Reykjavik 20 febbraio 1987: 1-0
Riesci a vedere il matto dopo 40…Ta1?


 

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