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la nota stonata #12

C'è una nuova moda in Serie A: il portiere a tempo

Enrico Veronese

Titolari in panchina e secondi in campo: ora gli allenatori applicano anche per gli estremi difensori il metro di giudizio degli altri. Darà frutti?

La Serie A è una brutta bestia. Altro che la Champions League, dove i carneadi del Brest azzeccano il girone e polleggiano da secondi in classifica: ditelo a Paolo Vanoli, che in B era un fenomeno e col Torino stenta (anche per la rosa decimata), raccontatelo al suo ex Venezia, che perde le partite tutte allo stesso modo. Ma la stessa Inter insegue in Italia quando riesce in Europa: le vere nuove forze sono la Fiorentina ye-ye di Raffaele Paladino e la Lazio autoritaria dell’ottimo Marco Baroni, la più bella da vedere - per quanto inattesa - forse l’Udinese mai messa sotto a Bergamo. Tutto il resto ce lo si aspettava, tranne il raggio di sole di Nico Paz, che per la leggerezza dei movimenti e la capacità di giocare anche da mezzala nella trasferta di Genova è venuto facile paragonare al primo Zico.

   

Ma è un campionato che non perdona, capace di mettere in discussione tabù consolidati: dai tempi della staffetta tra Giovanni Galli e il povero Andrea Pazzagli l’unico ruolo preservato dal turn over, se non in Coppa Italia, era quello del portiere. Ora basta una partita andata male per scuotere gli allenatori e preparare la rivoluzione tra i pali: in laguna Jesse Joronen ci ha messo del suo, dopo aver costruito la promozione e chiuso la serranda un paio di volte. Spazio a Filip Stanković, cognome importante e gavetta veloce: bravo a San Siro, impotente prima e dopo. Ha risolto qualcosa? No, almeno per ora.

   

Oppure Simone Scuffet, che a Cagliari non contava più rivali: ma si fa beffare da Boulaye Dia e così Davide Nicola decide di lanciare Alan Sherri, in una partita non proprio agevole contro il Milan. Nei tre goal subiti a opera dell’attacco rossonero il suo zampino c’è e non c’è, di certo non ha cambiato la soluzione. Allora ci si chiede se non sia meglio infondere sicurezza all’estremo difensore, difenderlo a propria volta e arrendersi solo davanti all’evidenza, non per moda. Se la bocciatura non veniva praticata scientificamente, e lo sanno gli allenatori dei portieri, un motivo ci sarà: ed è che le cose non cambiano in modo automatico con l’avvicendamento di chi è stato preparato ad essere titolare (anche qui, nota di merito per non stonare, le conferenze mediatiche di Baroni hanno fatto chiarezza fin da subito), né addirittura di chi dirige la panchina. Ogni riferimento giallorosso non può essere casuale...

   

Intanto “pareva” solo un mese fa che i campionati si fermavano ancora a spizzichi e bocconi (pareva perché lo era, filosoficamente), e oggi già incombe l’ennesima sosta azzurra. Luciano Spalletti gongola perché si gode Mateo Retegui e l’implacabile Moise Kean capocannonieri del torneo, ma nella vulgata del calcio moderno e contemporaneo ne giocherà uno solo fra i due, per la priorità di aggirare l’area. Stai a vedere, da tanto è lapalissiano, che Enzo Bearzot e il suo allievo Giovanni Trapattoni erano più avanti degli eredi: o avevano semplicemente meno paura, se oggi diventa sufficiente correre e fare palestra per spolmonare il talento. A proposito di Nazionale, auguri a Roberto Mancini: ne avrà bisogno come dell’acqua di Lourdes.

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