Il Foglio sportivo
I magnifici doppi Giochi di Bebe Vio
“Nei nostri confronti ho visto un cambiamento sia a Parigi che nella cultura francese”. La campionessa della scherma ci racconta l'importanza di queste Olimpiadi e Paralimpiadi
Parigi l’aveva promesso: il 9 settembre ci sveglieremo diversi. Nella terra “dell’amore e della rivoluzione” per eccellenza, come l’ha definita Tony Estanguet, presidente del Comitato organizzatore olimpico e paralimpico di Parigi 2024, hanno vinto entrambe. L’amore per i Giochi. E quella “rivoluzione gentile” che la Francia ha voluto fortemente dal giorno zero, da quando per la prima volta nella storia i cinque cerchi olimpici sono stati affiancati agli agitos paralimpici. Un continuum tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Fatto anche di simboli, come la scelta di avere la stessa mascotte, Phryge, declinata in modi diversi. E infine quell’anello di congiunzione che porta nome e cognome, anzi due, italiani: Bebe Vio Grandis.
Protesi luccicanti, vestito di piume e lustrini. Appare così, a sorpresa, sul Ponte Debilly durante la Cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, nel capitolo dedicato alla “Festivitè”, i festeggiamenti. L’ha voluta fortemente il Comitato organizzatore, sia come simbolo di inclusione, sia in vista della cerimonia che si sarebbe svolta dopo un mese: quella paralimpica. Bebe è stata l’unica atleta ad aver partecipato a entrambe. “Non voletemi male amici olimpici, ma abbiamo vinto. A mani basse, o anche senza mani”, scherza ricordando le cerimonie e i suoi due momenti. “È stato un onore essere presente e sfilare sulla Senna. Poi però quella paralimpica me la sono proprio goduta, è stato veramente emozionante e divertente. C’era tutta la gente che ballava, fortunata di esserci”. Ma non solo. Perché anche in questo caso Bebe non era presente solo come atleta. Ma come simbolo dell’unione tra Giochi Olimpici e Giochi Paralimpici. A poco più di 30 giorni da quando i paralimpici hanno contribuito a portare la Fiamma olimpica al calderone di Jardin de Touliers, era arrivato il turno degli olimpici di contribuire ad accendere il calderone paralimpico. Un'idea ripresa proprio dall'impegno di Parigi 2024 di avvicinare Olimpiadi e Paralimpiadi, con un'altra mossa rivoluzionaria del comitato organizzatore. A un tratto però, ecco l’altra sorpresa per l’Italia. Mentre ballerini e ballerine con le torce accese iniziavano a muoversi sulle note del “Bolero” di Maurice Ravel, la fiamma passa a lei, Bebe. Ancora una volta, Parigi segna la storia.
“Benvenuti all'evento sportivo più trasformativo della Terra! I Giochi paralimpici di Parigi 2024”, aveva aperto così il discorso della Cerimonia Andrew Parsons, presidente del Comitato paralimpico internazionale. Lo sport è sempre stato un punto fondamentale per un cambiamento culturale e sociale. Già le Paralimpiadi di Londra avevano segnato la strada cambiando la percezione della disabilità. Togliendo quel prefisso “dis”: lì c’erano solo le abilità. L’edizione francese dei Giochi riprende da questo, con una provocazione in più. “Sono venuta a Parigi tanto negli ultimi anni, essendo testimonial olimpica e paralimpica. Ed è stato molto figo vedere la transizione che hanno fatto sia a livello di strutture che a livello di comunicazione”, racconta Bebe. “All’avvicinarsi dell’inizio dei Giochi, ho visto proprio un cambiamento sia nella città di Parigi in qualche modo, sia nella cultura francese, che ormai considerava Olimpiade e Paralimpiade come due tempi di una stessa partita”. Un cambiamento radicale che è trasparito poi durante le gare. “È stato magnifico. Le tribune strapiene, la gente fomentatissima per lo sport paralimpico. Questo dimostra che la comunicazione e il lavoro fatto hanno portato a tanto per il movimento. Mi auguro che in tutti i paesi ci sia questa folla di gente pronta a fare il tifo per noi, perché è bellissimo, è sport. E siamo tutti innamorati dello sport”.
Alla fine sono stati i Giochi dei Ribelli. Sono stati loro, gli atleti e le atlete paralimpici, a portare avanti quella rivoluzione con cui si è aperta Parigi 2024. E l’hanno fatto battendo record mondiali nei palazzetti sold out. Portando a casa medaglie su medaglie. Mostrando lo sport con la S maiuscola. Ci hanno lasciato tanto questi Giochi. A partire da quello slogan che atleti e atlete come Jessica Long, un po’ l’equivalente di Pellegrini nelle Paralimpiadi, hanno lanciato: “We are here to compete”. Perché poi le rivoluzioni partono anche dal linguaggio. Un messaggio chiaro: siamo qui per competere, vincere e battere record mondiali. Non per “partecipare”, verbo che veniva spesso accostato per parlare di Paralimpiadi. E allora il senso di questi Giochi lo si trova anche, soprattutto in quel “Bebe, Bebe, Bebe”... un coro che non parte dal gruppo italiano presente al Grand Palais, venue delle gare di scherma paralimpica. Ma da un bimbo francese. Riccioli biondi e voce squillante a fare il tifo per l’azzurra. Con lui, il boato del pubblico per l’Italia. Questo è il senso dello sport. Questo, il senso di Bebe.
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