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Patrick Cutrone e il lago
Mancava da ventidue anni un gol di un giocatore del Como in Serie A. L'attaccante è riuscito a segnarlo dopo essere riuscito a ritrovare se stesso sulle sponde del Lario
Quel lago, il Lario, da Parè non si vede. E lì, ma distante, come la differenza tra un comasco e un laghée. Lo si sente a orecchio, se lo si ha allenato: questione di chiusura di certe vocali. Per chi vive attorno al Lago, Como è qualcosa a cui si può ambire oppure rifiutare, la città almeno. Perché il Como, la squadra, per parecchio tempo era invece qualcosa a cui si ambiva e basta. Era una signora squadra quella lariana, capace di barcamenarsi tra A e B, nonostante qualche periodo cupo di troppo. Soprattutto era una delle palestre migliori nella quale crescere, capace di valorizzare i talenti e portarli in alto, quasi sempre lontani da quel lago.
Patrick Cutrone è nato a Como, è cresciuto a Parè, comasco non laghée. E quella maglia a volte blu a volte azzurra non era mai riuscito a vestirla. Era un periodo difficile la seconda metà degli anni Zero del Duemila per i lariani, i conti erano messi male e l’attenzione ai giovani che aveva contribuito a dargli rilevanza nazionale era scomparsa nella miseria economica. Patrick Cutrone era poi uno dal talento così lampante che in troppi immaginarono per lui una carriera da primattore. Lo prese il Milan. Mica male per un milanista giocare e segnare per la squadra per la quale si fa il tifo.
E Patrick Cutrone ha sempre segnato tanto. Prima nelle giovanili, poi nella primavera, infine pure in prima squadra. Alla seconda stagione con il Milan quello vero aveva già chiuso una stagione con diciotto gol segnati, diversi decisivi. I tifosi si erano invaghiti di quel ragazzo che correva e dava l’anima per la maglia. E che segnava. Se l’erano già immaginato capocannoniere, centrattacco per anni, con margini di miglioramento incredibili.
Un’illusione che durò pochi mesi. Una dolcissima illusione, quella di chi tifa una squadra e vede che il proprio centravanti è della stessa pasta, uno da stadio, uno che ama alla follia gli stessi colori.
Patrick Cutrone non era il fenomeno che si sperava fosse. Era un buon attaccante, uno che sopperiva a qualche mancanza grazie a una voglia esagerata di far vincere la sua squadra, quella con la maglia rossonera (per la quale sognava di giocare).
Avrebbe potuto rimanere. Perché va bene lo stesso se uno non è un fenomeno ma ha nel corpo la capacità di dare tutto se stesso e anche di più per una maglia. O così avevano pensato in parecchi nella San Siro rossonera. Non i dirigenti però. Il calcio è anche conti e i conti sono plusvalenze. La sua fu di 18 milioni.
Patrick Cutrone andò al Wolverhampton. E tra Wolverhampton, Fiorentina, Valencia ed Empoli si spense, scomparve alla maniera repentina di qualsiasi cosa in certi punti nel Lario. Prima c’è. Poi non c’è più. E non lo si riuscirà mai più a trovare.
Il suo volto si segnò di malinconia come si segna la superficie del lago in attesa della pioggia. Lui correva, dribblava, tirava, ma nulla o quasi di buono gli riusciva, quasi fosse svuotato della foga che lo aveva portato in Serie A.
Sembrava finita la sua avventura nel grande calcio. Sembrava essere diventato un attaccante di secondo piano, uno di quelli buoni solo per riempire un posto in rosa, magari per sedersi in panchina.
Lo era davvero? No.
Doveva solo trovare quella voglia di lottare per una causa che lo aveva trascinato sin da giovanissimo. Doveva solo trovare qualcosa in cui credere.
Doveva forse ritrovare soltanto quel lago che da Parè non vedeva, ma che si percepiva. Quel lago che sa essere una ragione d’esistenza, capace di farti struggere dentro e farti pensare che non può esistere una vita senza vederlo lì, immutabile e sempre in movimento, colorato di quelle infinite sfumature di gioia e malinconia capaci di dimostrarti che quello e non altro è il luogo nel quale vuoi vivere, far passare gli anni.
A Como, al Como, Patrick Cutrone è tornato a sentirsi e a essere importante. Ci ha messo del tempo, è cresciuto contribuendo a far crescere un progetto grande come il lago. Ha alimentato, alimentando, il sogno di una squadra e una città di ritornare a essere presenza nell’immaginario calcistico italiano. Lo ha fatto sistemando ed evolvendo prima di tutto se stesso, trasformandosi da attaccante in più che attaccante, in un giocatore capace di muoversi là davanti non per forza accentrando su di sé il gioco. Ha ritrovato un motivo per battersi e sbattersi in un campo di gioco. È diventato il primo giocatore a segnare in Serie A con la maglia del Como dopo ventidue anni di troppe incertezze e pochissime gioie.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.