a parigi
Nadal, c'est fini? Rafa non è più Rafa (e lo sa). Tramonta il suo regno al Roland Garros. “Ma forse torno”
Il campione spagnolo lotta tre ore ma perde contro Zverev. A goderselo (forse) per l'ultima volta in tribuna anche Alcaraz e Djokovic. "E' molto probabile che non giocherò più qui, ma non sono sicuro al 100 per cento"
Citando un grande appassionato di tennis, giocare al Roland Garros è stata una cosa divertente che (forse) non rifarà. “C’è una buonissima percentuale che non giocherò più ma non posso esserne certo al 100 per cento”, ha detto al centro del Philippe-Chatrier Rafael Nadal, dopo aver, per una macchinazione del destino, perso da Alexander Zverev due anni dopo il terribile infortunio alla caviglia del tedesco di cui lui era stato testimone. E’ la fine del regno nadaliano? Lui non vuole ufficializzarlo. Ma intanto, a goderselo per quella che potrebbe essere stata l’ultima volta, c’erano anche Carlos Alcaraz e Novak Djokovic. S’è rivisto pure lo zio Toni.
Pensare da dove tutto è cominciato fa venire le vertigini. Nel 2003, dopo averlo visto trionfare a Barletta, chi scrive non aspettava altro che la prova parigina. Eravamo convinti avrebbe potuto fare l’exploit quell’anno stesso. A Montecarlo, del resto, da appena diciassettenne, dopo aver battuto il connazionale top ten Albert Costa, aveva battagliato per ore con uno come Guillermo Coria. Il terraiolo per antonomasia. E invece quell’anno Parigi Nadal lo saltò per un infortunio. E lo stesso sarebbe accaduto l’anno successivo. Al ché uno poteva davvero pensare che un poco fosse stato un abbaglio. Non è che ha ragione Rino Tommasi ? (“Nadal vincerà più sulle superfici veloci, Gasquet più sul rosso”, scrisse su un numero del Tennis Italiano di quegli anni). E invece nel 2005, contro il tedesco Lars Burgsmüller, sarebbe iniziato il suo lungo dominio. Che oggi, poco dopo le 18 e 10 di un lunedì di fine maggio, più di tre ore a opporsi al proprio destino, potrebbe essere infine tramontato.
Quella contro Alexander Zverev è stata la quarta sconfitta in diciannove partecipazioni (le vittorie sono 112, i titoli 14). Da un tedesco all’altro. L’ultimo atto è stato un rito che il maiorchino avrebbe voluto fosse governato unicamente da logiche di reale competitività. E in parte tale è stato, perché Nadal ha avuto l’occasione di vincere almeno un set. Si capiva che non aveva le carte per andare oltre. Nadal-Zverev sarebbe potuto essere l’addio a Parigi dello spagnolo, due anni fa. Quando dall’altra parte della rete il tedesco iniziò a manifestare la propria superiorità. E poi però dovette ritirarsi per un drammatico infortunio ai legamenti della caviglia di cui ha sofferto i postumi (quantomeno psicologici) fino a poche settimane fa. Il destino cieco e baro che aveva offerto a Nadal l’illusione di poter andare avanti per sempre (perché non ha detto basta quando era all’apice?) è lo stesso che adesso lo ha ridotto nella frustrazione di non poter più essere il tennista che è sempre stato. Nemmeno ora che come obiettivo, forse, avrebbe solo quello di poter durare ancora un po’. Di modo che suo figlio possa conservare il ricordo di un babbo agonista. Fino alla fine dell’anno avrà altre occasioni. E tecnicamente quella di oggi non è stata l’ultima partita giocata all’interno del circolo parigino, perché ad agosto ci sono le olimpiadi che sempre lì si disputeranno. Non è però una consolazione. Semmai il ramo a cui t’aggrappi quando sai che dirti ‘è finita’ fa troppo male. Dall’altra parte, quella di chi mette fine alla carriera altrui, Rafa c’è stato: nel 2006 fu l’ultimo avversario di Andre Agassi a Wimbledon. Adesso nello stringere la mano di Zverev sembrava dire: non sono pronto. La notizia negativa è che il Rafa di sempre non c’è più. La positiva, per lui, è che non lo sarà mai nessun altro nella storia.
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