Scrittori in Giro

Il Giro d'Italia secondo Mario Fossati

Marco Pastonesi

“Nel giornalismo sportivo Fossati ha avuto l’impatto del cinema neorealista sui telefoni bianchi, è stato Ungaretti che invade il campo di d’Annunzio”, scrisse di lui Gianni Mura

Può essere considerato scrittore anche l’autore di un solo libro? Se l’autore è Mario Fossati, allora sì. Il libro era su Fausto Coppi, risale al 1978, lo pubblicò la Compagnia Editoriale in una felice collana cicloletteraria, e si racconta il Tour de France del 1952. A essere pignoli, è più un’opera giornalistica che letteraria. Perché Fossati era profondamente, naturalmente, caratterialmente, professionalmente, moralmente giornalista, un grande giornalista, un vero giornalista, il (mio) giornalista numero 1 nel ciclismo. E se non scriveva libri, era solo “per pudore”.

Monzese, del 1922. Alla “Gazzetta dello Sport” dal 1945 al 1956, al “Giorno” dal 1956 al 1982, alla “Repubblica” dal 1982 al 2010. Non solo ciclismo, ma anche pugilato, alpinismo e ippica, lo sport, dal calcio all’automobilismo, scriveva di uomini e luoghi, il suo giornalismo era da strade e marciapiedi, osterie e cimiteri, officine e pensioni. Si andava, si guardava, si annusava, si domandava, si scriveva. La frequentazione diventava conoscenza, poi amicizia e stima, a volte complicità.

“Coppi” non è il solo libro di Fossati: c’è anche “Coppi” (Il Saggiatore, del 2014), ma si riferisce sempre a quel Tour del 1952; c’è “Il mio Coppi”, a cura di Sergio Meda (Bolis, del 2020), una raccolta di scritti; ci sono altri scritti, come quelli nelle antologie “L’uomo a due ruote”, a cura di Guido Vergani (Electa, del 1987), ed “Eroi, pirati e altre storie su due ruote”, a cura di Simone Barillari (Bur, del 2013). La sua vocazione era il pezzo, il massimo era la paginata, ma anche in un corsivo riusciva sempre a regalare schegge o scintille da scrittore. Soprattutto c’è una tesi universitaria, diventata saggio, “Mario Fossati e la storia del giornalismo sportivo in Italia (1945-2010)”, scritta da Enrico Currò e curata da Gino Cervi (Bolis, del 2018), in cui Fossati è scavato, esplorato, analizzato, valorizzato. “Per molti colleghi Mario Fossati è stato un maestro anche da vivo – scriveva Gianni Mura nella prefazione – Ma senza i tentativi di imitazione che poteva contare Gianni Brera. Due grandi giornalisti, due grandi amici. Così amici che Fossati accettava senza brontolare troppo il ‘Generale’ appioppatogli da Brera”. Mura concludeva così: “Nel giornalismo sportivo Fossati ha avuto l’impatto del cinema neorealista sui telefoni bianchi, è stato Ungaretti che invade il campo di d’Annunzio”.

Giro e Tour, d’accordo, campionati italiani e mondiali, d’accordo, Milano-Sanremo e Giro di Lombardia, d’accordo. Ma anche le altre corse, le classiche del nord e i circuiti al sud, tutte le corse. Fossati era uno di quelli che viveva più nelle camere d’albergo che in quella di casa, macchina per scrivere e valigia sotto il cuscino, era tornato vivo dalla campagna di Russia, il resto gli sembrava Disneyland. Dei soldi se ne fregava, mai della qualità, della dignità, della onestà. Non esiste un pezzo tirato via. Ed era di una semplicità, di una modestia, di una umiltà commoventi.

Fine dei piagnistei e inizio delle citazioni. Di Coppi e Bartali e Magni, retroattivamente anche di Binda e Belloni, di Maspes e Gaiardoni e della consorteria della pista: si sa. Fossati arriva a Francesco Moser: “Gli chiedo, quanti anni correrai ancora, Francesco? ‘Il prossimo anno è l’ultimo. Puoi vederti e sentirti come un giorno eri, ma non puoi sopprimere il tempo e respingerlo lontano. Io faccio il conto attraverso gli inverni passati fuori di casa…’. Ho conosciuto intere generazioni di corridori ciclisti che mettevano l’odore della stalla dei buoi tra i profumi, come quello del pane caldo, del polverone delle strade maestre, lavate a doccia da un temporale. Il campione più moderno – Moser appunto – è, dunque, il più antico”.

Fossati dipinge Beppe Saronni: “Il pomeriggio abbaglia di sole freddo, crudo. Accade spesso nell’inverno, in Lombardia. Il vento spazzola il giardino, divide l’erba del prato. Il campione è appena tornato dal Ticino, che distribuisce sulle sponde (mi dice) una sabbia finissima, che il tempo rassoda in sassi candidi che lui è andato a cercare”. Poi è Saronni a confidarsi: “Infine mi ha invaso la nausea. Ecco, la nausea ti smaglia. E’ una specie di mal di mare ciclistico. Succede in altri sport, è successo ad altri campioni di altri sport. Ma, qui, la fatica è greve. Ti mortifica”.

Fossati ci regala pennellate: “La Canins è, per la Longo, un incubo a cui si è affezionata”, Gianni Bugno “ha molta classe: ha classe d’uomo. Non è un ‘grattugiaselle’”, e di Claudio Chiappucci “quel suo corpo sodo, tozzo – sua madre si è scordata di allungargli il collo – mi rimanda ad un passato…”. Finché Mariolino decise di abbandonare la strada e rimanere a casa. Ci saranno state altre ragioni, ma a noi disse di avere fatto il suo tempo, “adesso ci sono colleghi che pasteggiano a Coca-Cola”.

Sì: Fossati, giornalista sportivo ma anche fior di scrittore, aveva fatto – costruito, illuminato, firmato – il suo (e il nostro) tempo.

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