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momenti di rottura

Il tennis è anche una storia di racchette spezzate (eccetto Nadal)

Marco Pastonesi

Momenti di panico, attimi di black out, istanti di cortocircuiti, sprazzi di follia sfogati facendo a pezzi – una sorta di autolesionismo – il prolungamento del proprio braccio. Come una profanazione in un tempio. “Smashing Rackets”, in libreria

Il più violento? Il russo Mikhail Youzhny. Dopo un errore che giudicò imperdonabile, cominciò a picchiarsi l’incordatura della racchetta sulla testa, si procurò una ferita sanguinolenta e costrinse il giudice a interrompere il match. Il più atletico? L’australiano Nick Kyrgios. Perduto l’incontro, andò a rete, strinse la mano all’avversario, poi prese la racchetta e la lanciò addirittura fuori dallo stadio. Per fortuna la racchetta non colpì nessuno. Il più riconoscente? Lorenzo Musetti. Ha spaccato solo una racchetta, ai campionati italiani Under 14, ma è stata una liberazione, perché poi ha vinto il match. Il più convinto? Lo statunitense Andy Roddick. In svantaggio contro il molto meno quotato Flavio Cipolla, sfasciò la racchetta contro il terreno, poi domandò se questo gli fosse costato un’ammonizione, e al “non ancora” dell’arbitro riprese la racchetta e completò l’opera di distruzione. Il più distruttore? Il russo Marat Safin. “Un giorno ho ricevuto a casa uno snowboard della Head con sopra scritto: 1.055. Le hanno contate tutte!”.

Smashing Rackets, ovvero tennis e momenti di rottura, un libro grande come un piatto di corde, con i testi di Federico Ferrero, le foto di Filippo Trojano e l’introduzione di Marco Lodoli (Hoepli, 128 pp., 28 euro). E di rotture si tratta: prima in testa, poi nell’attrezzo. Momenti di panico, attimi di black out, istanti di cortocircuiti, sprazzi di follia sfogati facendo a pezzi – una sorta di autolesionismo – il prolungamento del proprio braccio. Come una profanazione in un tempio. Come un sacrilegio in una basilica.

C’è forse un solo tennista che abbia resistito alla tentazione di prendersela con la racchetta, Rafa Nadal: “Mai fatto, è un insulto alla povertà”. Lo spiega Toni Nadal, zio e allenatore di Rafa dagli inizi fino al 2017: “Tra le prime cose gli ho detto che avrebbe dovuto rispettare una regola. Se avesse gettato a terra la racchetta e l’avesse rotta, avrei smesso di essere il suo coach. Gli dissi che c’erano milioni di bambini in tutto il mondo che non avevano una racchetta perché non se la potevano permettere. Rafa aveva sei anni e non l’ho mai visto scagliarne una”. Ma tutti gli altri, chi una sola volta chi cento, si è accanito con quello che aveva fra le mani. E’ accaduto, involontariamente, a Paolo Bertolucci: “Non ero un tipo da sfasciare racchette. Un po’ per inclinazione personale e un po’ perché, ai tempi funzionava così: ti davano cinque fusti l’anno e, con quelli, dovevi fare tutta la stagione. Se le rompevi tutte e cinque, le altre dovevi comprartele. Ricordo però che, una volta, mi capitò di romperne una semplicemente lasciandola cadere di punta. Col legno poteva succedere, se si colpiva il punto ‘giusto’”. E’ accaduto, pericolosamente, al tedesco Alex Zverev: per una palla chiamata fuori, si vendicò sulla racchetta prima scagliandola a terra, poi demolendola contro il seggiolone dell’arbitro. Risultato: 40 mila dollari di multa e 8 mesi di squalifica. La prima racchetta spaccata è come il primo amore: non si scorda mai. Matteo Berrettini: “Avevo 12 anni e mi allenavo a Roma, al circolo Corte dei Conti. In realtà non volevo spaccarla ma solo lanciarla in terra, farla rimbalzare e riprenderla in mano. Purtroppo la testa della racchetta prese una riga, il punto più duro del campo, e sentii il crac”.

Ma certe volte il crac non basta. Nicola Pietrangeli ricorda ancora quando, a Sanremo, il suo avversario Michele Pirro prima ruppe le due racchette saltandoci sopra, poi, non ancora appagato, le incendiò.

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