Foto Ap, via LaPresse

Un'altra grande notte di LeBron James. I Lakers vincono il primo In-Season Tournament Nba

Francesco Gottardi

Il campione gialloviola continua a giocare come mai nessuno ha fatto a 38 anni. La franchigia di Los Angeles battendo i Pacers in finale, diventa la squadra più vincente della storia del basket americano. E James ora studia come portare (e portarsi) il grande basket a Las Vegas

Doveva finire così. Il Prescelto che alza l’ennesimo trofeo, il primo di sempre messo in palio dall’Nba al di là dell’Anello. I Los Angeles Lakers vincono l'In-Season Tournament, la coppa Usa dell'Nba, e diventano la franchigia più vincente della storia – staccata Boston, 18 titoli a 17. E questo mentre il pubblico di Las Vegas sogna una sua franchigia. Perché gliel’ha promessa sua maestà LeBron James: un uomo in missione, dal primo all’ultimo minuto di questo In-Season Tournament.

Non è stata una finale a senso unico, nella notte tra sabato e domenica tra Los Angeles Lakers e Indiana Pacers. I Lakers l’hanno portata a casa con merito e pazienza, senza più fermarsi, una volta messo il muso avanti a metà del primo quarto. Menzione d’onore per i sorprendenti Pacers, che nonostante il gran torneo disputato restano una delle 10 squadre Nba ancora a secco di trionfi. Ci sono andati vicini – il punteggio diceva 102-99, a 5’ dalla sirena – grazie a un inesauribile Tyrese Haliburton. Era però la serata di James, oscurata solo in parte dalla prestazione mostruosa di Anthony Davis (41 punti, 20 rimbalzi, 5 assist, 4 stoppate) che a sua volta impallidisce dinanzi ai numeri del 39enne nel corso del torneo: 26,4 punti, 8 rimbalzi e 7,6 assist di media. E premio di Mvp più longevo pure in saccoccia.

 

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“Sembrava il condottiero di una campagna militare”, centra il punto coach Darvin Ham. “Sembrava un giocatore-proprietario: di giocatori-allenatori in passato se ne sono visti, ma quel che sta facendo LeBron mai”. È un disegno netto, tracciato in estate, che porta dritto all’Olimpiade e all’oltre-basket – il futuro del Re lontano dal parquet, qualunque esso sia. Per adesso, James ha realizzato l’innaturale fissione di tempo e potenza: sta giocando con quasi il 60 per cento da due punti e oltre il 40 da tre, record in carriera; viaggia a 25 punti di media, almeno 18 in più di chiunque altro abbia varcato l’impervia soglia della stagione professionistica numero 21. Eppure, lui incorona chi è al suo fianco nella sbornia gialloviola. “Non guardate me” dice, “ma Davis che stanotte pareva Shaq”. Oppure. “Certi miei ragazzi non hanno lo stipendio di alcuni di noi: era mia responsabilità coinvolgerli il più possibile. E infatti appena finita la partita mi hanno chiesto: quando arrivano i soldi? Ho risposto che non lo so, anche se in realtà qualcosa so”.

È l’altra faccia dell’In-Season Tournament, che premia ciascun cestista del roster campione con mezzo milioni di dollari – bruscolini per LeBron, ma appunto, non per tutti. Così l’intero mondo Nba, dalle superstar agli allenatori, ha riconosciuto la bontà della nuova iniziativa: riattiva la suspence in bassa stagione, alza il livello delle partite e la fame di mettersi in mostra. Alcune gare, come la finale, hanno raggiunto picchi di 2 milioni telespettatori: il 93 per cento in più rispetto a un match nello stesso periodo della scorsa annata, secondo Forbes. In media, l’audience totale è salita del 26 per cento. “È stata un’edizione sperimentale, siamo aperti a ogni accorgimento”, spiega Adam Silver, il numero uno della lega. “Ma era difficile aspettarsi subito tanto successo”. Poi, durante la cerimonia, si è quasi scusato con James: “Mi dispiace che con la coppa non arrivi anche una nuova franchigia”.

Mica una battuta, come non lo era quella di coach Ham. Smessi i panni del fenomeno, James punta davvero a una creatura tutta sua – come e magari meglio del tentativo di Michael Jordan a Charlotte. E il Re avrebbe scelto dimora nella Città del peccato: sempre più a trazione sportiva, col nuovo Gran Premio di Formula 1 e il Super Bowl 2024 già in agenda. Manca solo il grande basket. O forse, per un attimo, è già arrivato l’assaggio di quel che sarà. Per questo LeBron non poteva lasciarselo scappare: era chiamato a vincere ancora una volta, come se fosse la prima. E un po’ in effetti lo era.