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L'ultimo lascito di Carlo Ancelotti è il quadrilatero magico

Gianluca Losito

Il ritorno all'antico è la nuova modernità dell'allenatore del Real Madrid. Il centrocampo con Tchouameni, Camavinga, Valverde e Bellingham è la sua ultima rivoluzione

Prima di abdicare al trono ogni sovrano che si rispetti lascia, accanto a un cumulo di conquiste e ricordi, un'opera incompiuta o nuova di zecca, da far godere ai sudditi dopo l’addio. Per Carlo Ancelotti, all'ultima stagione sulla panchina del Real Madrid, quel lascito è il giovanissimo “quadrilatero magico” (età media 22 anni e mezzo) che sta plasmando a centrocampo, composto da Tchouameni, Camavinga, Valverde e Bellingham.

Con il quartetto franco-anglo-uruguagio, Ancelotti - dopo un decennio passato in compagnia del trio Modric-Casemiro-Kroos - riavvolge il nastro della sua carriera: schierava quattro centrocampisti agli albori, quando però li sistemava in linea, nel 4-4-2 sacchiano degli esordi a Reggiana e Parma; ne schierava quattro (poi cinque) anche negli anni d'oro del suo grande Milan, quando la soluzione alla sovrabbondanza di talento in mediana fu il celebre albero di Natale. Lo ricorderanno in pochi, ma anche nell’esperienza napoletana Ancelotti spesso giocò a 4 in mezzo, di nuovo in linea, servendosi sulla sinistra di un "falso esterno" come Fabian Ruiz o Zielinski.

La nuova composizione della mediana madrilena muove da presupposti simili a quelli che hanno scatenato la rivoluzione rossonera: come far convivere quattro calciatori così forti ed esuberanti? Semplice: schierandoli tutti insieme, rivedendo i loro compiti.

Il rombo di centrocampo con cui il Real ha affrontato l’inizio di stagione rimescola le carte, come spesso accade con Carletto. Federico Valverde, protagonista di un'audace scommessa del coach di Reggiolo appena un anno fa ("se non segnerà 10 gol in stagione straccerò il mio patentino da allenatore": scommessa vinta, ça va sans dire) è tornato nel cuore del gioco, dove può dare sfogo alla sua indole di tuttocampista: corre senza sosta, battaglia con gli avversari e distribuisce palloni. Le sortite offensive sono rimaste, in formato ridotto. È tornato in mezzo anche Eduardo Camavinga: dopo una stagione sperimentale da terzino sinistro, Ancelotti ha rimesso al centro la sua indole di rubapalloni e le sue corse a perdifiato palla al piede, utilissime a risalire il campo. Ad Aurelien Tchouameni è affidato il compito di portare ordine e dare ritmo al possesso della squadra, sbagliando il meno possibile, con un discreto apporto anche quanto a fisicità e presenza aerea.

Il vero protagonista dell'inizio stagione blanco è stato, però, Jude Bellingham. Arrivato dal Borussia Dortmund per 103 milioni di euro, il classe 2003 ha dimostrato di non patire affatto la pressione, anzi: la cerca. La scelta del numero 5 appartenuto a sua maestà Zidane è emblematica. È lui la chiave di volta del rinnovamento: a Bellingham è stata affidata – accanto alla funzione di “playmaker mobile” come definita da Dario Pergolizzi su L’Ultimo Uomo – un'eredità inaspettata, quella di Benzema. Attorno a questo passaggio di consegne ruota un cambiamento radicale nel gioco del Real: mentre il francese partiva dalla posizione più avanzata per poi cucire il gioco, svariare sul fronte e segnare, oggi il finalizzatore arriva da dietro. Bellingham si incunea negli spazi creati dai movimenti con e senza palla di Vinicius e Rodrygo per far gol in ogni modo: di testa, di controbalzo, di rapina. È una metamorfosi difficile da prevedere: l'inglese è reduce dalla sua miglior stagione realizzativa, con 14 reti, ma al ritmo con cui è partito (4 reti in 3 partite) le prospettive per quest'anno appaiono ben diverse. Quella dell'attaccante ombra, in realtà, è solo una delle soluzioni di utilizzo per un calciatore dal set di qualità vastissimo, accompagnato da una maturità invidiabile per la sua età.

Il discorso fatto per Bellingham vale, in misure diverse, anche per gli altri tre: con un investimento complessivo di 220 milioni circa, il Real ha assemblato un quartetto di calciatori completi e carismatici per assicurare a lungo il reparto più strategico del gioco.

A monitorare la definitiva fioritura dei quattro, accanto al mentore in panchina, i decani Modric e Kroos, avviati su un dolcissimo viale del tramonto. Sarà una transizione che è anche evoluzione: da una gestione cerebrale del cuore del campo a una più istintiva, intensa ed elettrica. Entrambi hanno firmato un rinnovo annuale a giugno, smarcando al momento con eleganza il buen retiro arabo. È facile tentazione abbandonarsi ad uno slancio di romanticismo e pensare che, più che convinti dall'ambizione o altri stimoli, vogliano semplicemente godersi il miracolo accadere di fronte a loro.

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