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l'8a tappa

Tour de France. Cavendish e la porcellana delle speranze svanite

Giovanni Battistuzzi

Mads Pedersen vince l'ottava tappa della Grande Boucle davanti a Jasper Philipsen e Wout van Aert. Il velocista inglese è caduto a una sessanta chilometri di arrivo e si è ritirato. L'addio di Cannonball al Tour è uno sguardo perso nel vuoto

L’ultima immagine di Mark Cavendish al Tour de France sarà probabilmente un primo piano del suo sguardo. Due occhi che guardano nel vuoto pieni di desolazione. Lo sguardo rabbuiato di chi si è reso conto che non c’è davvero nulla da fare, che è tutto finito, che quello che poteva essere non sarà mai. Quella agognata e dannatissima vittoria numero 35 al Tour non arriverà mai. Avrebbe potuto essere il corridore più vincente nella storia della Grande Boucle. Già ora lo è, ma accanto al suo nome c’è quello di Eddy Merckx e la stessa cifra: trentaquattro. E quando c’è Eddy Merckx in una casella qualsiasi altro nome viene dopo. A Bordeaux, ieri, era arrivato molto vicino al suo grande obbiettivo: secondo. Aveva detto che ci avrebbe riprovato. Non accadrà. Mark Cavendish è caduto a una sessantina di chilometri dall’arrivo. Si è rialzato solo per salire in una macchina del soccorso.

Non sempre le belle storie di concludono come si spera possano finire. E quella di Mark Cavendish è una bella storia. Va così quando un corridore decide di fregarsene degli anni che passano, delle delusioni che si accumulano, dei consigli pensionistici che si accavallano, si rimette in gioco e ritrova la bravura che fu. Una bella storia indipendentemente dal finale. Si vedrà se è, come sembra, quello definitivo. L’ultimo traguardo di una carriera passata ad attraversare per primo linee d’arrivo veloci, lasciando indietro ruote ancor più veloci.

Dopo l’arrivo in tanti gli hanno fatto gli auguri, hanno usato parole dolci e dispiaciute. Non erano parole di circostanza, non sempre almeno, erano parole sentite, sincere. Cavendish era un mito per tanti sprinter che sognavano da piccoli di vincere al Tour e che ora, anni dopo, con lui si giocano, anzi giocavano, le volate al Tour. A Limonges la vittoria di tappa è stata affar loro. Mark Cavendish, il suo sgruado desolato, era stato rinchiusa in una automobile del soccorso.

Limoges è la città delle porcellane, preziose e fragili, a volte si rompono, se va bene le si riesce a ricomporre, se si è bravi si riesce pure a non far vedere che sono andate in frantumi e a riutilizzarle.

Mads Pedersen in questo Tour de France era caduto, si era perduto, spesso arrabbiato, aveva mandato a quel paese rivali e soprattutto se stesso. Allo Jyllands-Posten ieri confidò di avere fatto “una stupidata dietro l’altra, ho buttato via tre occasioni perché ho sempre fatto errori banali”. Alla domanda come stanno le gambe?, rispose: “Quelle sono sempre state bene, è che quando la furbizia ti abbandona allora non servono a molto”. Stavano bene davvero le sue gambe. Mads Pedersen è comparso sulla destra della strada che portava alla linea d’arrivo. Mancavano duecento metri al traguardo, la strada in leggera salita e quando è così duecento metri sono lunghi. Non abbastanza però per recuperarlo, affiancarlo e superarlo. Non è riuscito a Jasper Philipsen, secondo. Non è riuscito a Wout van Aert, terzo. Tantomeno a Dylan Groenewegen e Nils Eekhoff. Mads Pedersen ha vinto l'ottava tappa del Tour de France, la seconda alla Grande Boucle,  

Se è andata male a Cavendish, è andata malino a Wout van Aert. Il belga non è caduto, non cade quasi mai il belga. Si è però ritrovato in mezzo alle ruote i soliti intralci nelle ultime centinaia di metri della tappa che lo hanno rallentato. Anche questa volta è stato un compagno di squadra. Era successo con Jonas Vingegaard nella prima tappa, è risuccesso oggi con Christophe Laporte. Non hanno colpe il danese e il francese, forse neppure van Aert, certo è che c’è sempre qualcosa che non gira per il verso giusto. Dicono che la sfortuna non esista, ma dicono anche il contrario, probabilmente è tutta una questione di opinioni senza verità. Forse non è sfortuna, forse a volte semplicemente si contrae la sindrome di Calimero e le cose iniziano ad andare storte e più continuano ad andare storte più uno pensa che sia tutta una spirale di eventi sfortunati. E così via siano a quando non succede qualcosa che permette di uscire da questo terremoto emotivo.

Domani il Tour aspetta un nuovo sisma, questa volta non emotivo, a pedali. Il luogo è importante e atisonante: il Puy de Dôme. L'occasione è quella buona per vedere come va la bella tra Jonas Vingegaard, trionfante al termine della prima tappa pirenaica, e Tadej Pogacar che tutto ha rimesso in discussione l'indomani a Cauterets-Cambasque.

 

L'ottava tappa del Tour de France: ordine d'arrivo e classifica generale