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Serie A

Cosa non va nel "colloquio" tra i giocatori del Milan e gli ultras

Alessandro Ferri

Il disappunto dei tifosi per le prestazioni della squadra di Stefano Pioli è legittimo, ma quanto capitato dopo la partita persa contro lo Spezia non è un dialogo: una delle due parti è in posizione di evidente superiorità (numerica, prossemica, emozionale) rispetto all’altra

La scena vista sabato allo stadio Picco di La Spezia sta facendo discutere, e non poco. I giocatori del Milan, appena battuti dalla squadra di casa per 2-0 dopo una prestazione molto sotto gli standard, a colloquio con gli ultras, fermi davanti a un muro nero di persone che chiedeva di più ai giocatori e a quello Stefano Pioli che un anno fa era “on fire” e che ora sembra aver perso la rotta.

Comunque la si pensi, quell’immagine non è bella: vedere dei giocatori che devono rimontare una semifinale di Champions League attaccati e costretti a rimanere impassibili dinanzi alla rabbia (giustificata da una prova terribile, va detto) di alcuni tifosi non è mai bello, ma la questione è meno netta di come sembra.

Il Milan sta vivendo una stagione difficile, lontana anni luce, per qualità e risultati, da quella dell’anno scorso. Mai in lotta per lo Scudetto che stavano difendendo, eliminati dopo una sola partita in Coppa Italia, gli uomini di Pioli si sono fin qui consolati con una campagna Champions a suo modo storica, dato che i rossoneri mancavano dalle semifinali da sedici anni. Eppure, la crisi di gennaio e quest’ultima hanno dato l’idea di una squadra che non ha mai realmente fatto i conti con se stessa e che, colpevolmente, è sempre appesa alle condizioni fisiche di Leao. Per questo il fastidio dei tifosi è comprensibile, specie alla vigilia del ritorno con l’Inter. Quello che invece è più difficile da capire è la dinamica del mondo ultras per cui è normale avere un “confronto” in quei termini e quelle modalità. 

I volti dei giocatori e dell’allenatore del Milan sono stati definiti “caravaggeschi”, forse perché, proprio come nei dipinti dell’artista, dai loro occhi trasparivano tutte le emozioni che stavano provando in quel momento. Ecco, sintetizzando al massimo: non volevano essere lì. Per nessun motivo al mondo. Forse l’iniziativa del giorno successivo, con i tifosi che hanno atteso la squadra a Milanello per intonare cori, sventolare le bandiere e sostenere il gruppo è stata più giusta e anche più utile in una certa maniera.

Si è parlato spesso del rapporto tra gli ultras e il Milan negli scorsi anni, specie dopo che, nel 2009, una parte della Curva Sud fischiò Paolo Maldini, all’ultima presenza a San Siro della sua lunghissima, incredibile carriera. E spesso si è parlato anche dell’astio dello stesso Maldini nei confronti della frangia più accesa del tifo organizzato rossonero. Stavolta però la situazione è diversa: i tifosi hanno il diritto di esprimere il dissenso quando le cose non vanno, ci mancherebbe: il rapporto biunivoco tra campo e fuori campo può solo giovare alle prestazioni di una squadra, se gestito bene. Quello che invece proprio non va è un dialogo che non è un dialogo, perché una delle due parti è in posizione di evidente superiorità (numerica, prossemica, emozionale) rispetto all’altra.

Insomma, per arrivare in finale a Istanbul, una città non banale per la parte rossonera di Milano, ci vorrà uno sforzo collettivo: tanto i giocatori, l’allenatore e i dirigenti, quanto i tifosi, dovranno remare nella stessa direzione, senza che nessuno addossi le colpe agli altri, perché rimontare l’Inter è sfida sulla carta difficilissima. Chi più, chi meno, tutti hanno una parte di responsabilità. La stagione del Milan si deciderà qui e ora. Ultras e squadra dovranno lavorare insieme.

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