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8a tappa: Terni – Fossombrone, 207 km

La primavera di Ben Healy continua al Giro d'Italia. Roglic stacca Evenepoel

Giovanni Battistuzzi

L'irlandese ha vinto l'ottava tappa della corsa rosa con un assolo di 50 chilometri. Lo sloveno ha attaccato, è rimasto solo in salita, ha rosicchiato 14 secondi al campione del mondo (portandosi a spasso Geoghegan Hart e Thomas)

Quando in futuro ripenseremo alla primavera del 2023, tra le tante gare meravigliose che il ciclismo ci ha concesso – dal Fiandre di Tadej Pogacar alla Liegi-Bastogne-Liegi di Remco Evenepoel, senza dimenticare la la Sanremo e la Roubaix di Mathieu van der Poel – ci verrà in mente che fu allora che arrivò l’epifania di Ben Healy.

C’era nessuno che aspettava Ben Healy, nessuno che aveva avuto l’ardire di pronosticare per lui una carriera vincente e luminosa. Sono sempre meno comuni le occasioni per stupirci, il corridore irlandese della EF Education-EasyPost ce ne ha concessa una. È apparso alla Settimana internazionale Coppi e Bartali con il suo incedere sghembo, la testa che pende da un lato, le spalle a uovo, i calzettoni alla maniera di un calciatore. Non è bello da vedere Ben Healy, però glielo si perdona facilmente. Perché Ben Healy è un corridore coraggioso, ma non azzardato, che sa benissimo ciò che può dare, che sa correre con le gambe e soprattutto con la testa. Sa quello che può fare, ciò che le sue gambe possono dare. E fa in modo di sfruttare quello che ha nel migliore modo possibile.

È da inizio Giro che Ben Healy prova a centrare una fuga. Sapeva che l’ottava tappa, la Terni – Fossombrone, 207 km, poteva essere l’occasione giusta. S’è fatto trovare pronto. Ha portato via un manipolo di avventurosi, li ha salutati quando era l’ora di salutarli, sulla prima ascesa della salita dei Cappuccini. Cinquanta chilometri in solitudine, come piace a lui, come piacerebbe a tutti, perché senza nessun altro attorno una vittoria è parecchio più libidinosa. All'arrivo ha salutato e ringraziato il pubblico, è uomo dai modi garbati, ha sorriso, se l'è goduta.

C’era bisogno di un’azione così. Per lui, soprattutto per un Giro d’Italia che si è svegliato ancora annoiato dopo la mancanza di attacchi di ieri.

C’era bisogno soprattutto di una tappa così per rimettere a posto un po’ di conti. Perché dietro a Ben Healy e agli altri corridori in fuga – secondo si è piazzato Derek Gee, terzo Filippo Zana –, chi sosteneva di essere al Giro per lottare per la maglia rosa, ha dimostrato che così è davvero.

Sulla seconda e ultima ascesa ai Cappuccini, Primoz Roglic s’è assunto la responsabilità di rendere più dura la strada a Remco Evenepoel. C’è riuscito benissimo. Lo sloveno della Jumbo-Visma ha attaccato, ha saggiato la buona volontà di Andreas Leknessund di difendere la maglia rosa, gran tempra il norvegese, ha soprattutto staccato il campione del mondo. Remco Evenepoel ha inseguito con calma, del suo passo, come fanno i corridori di classe, che non hanno paura degli altri, che sanno che il loro passo è quello giusto. Qualche insicurezza gli deve essere venuta quando il distacco da Roglic, ben più esplosivo di lui, invece di accorciarsi, come aveva iniziato a fare, si allargava. Soprattutto quando ha visto Tao Geoghegan Hart e Geraint Thomas si sono fatti prima profilo al suo fianco e poi schiena davanti a lui.

Primoz Roglic e la coppia della Ineos Grenadiers hanno rosicchiato 14 secondi al belga (che ha staccato di 20 la maglia rosa). Non molti, ma abbastanza per dare loro la convinzione che nulla sia davvero scritto e a Evenepoel la certezza che per non farsi rodere dai dubbi gli toccherà rifilare più secondi possibile alla concorrenza domani a cronometro.

Toccherà aspettare, non pensare troppo al domani, almeno per i corridori, che in tre settimane se si pensa troppo al domani si finisce a sentire addosso tutti i chilometri che mancano e non andare più avanti.

E pure per noi che da un divano vediamo i ciclisti pedalare meglio concentrarsi sul presente, su di una tappa che è stata avvincente come tutte le tappe che non esagerano nei metri di dislivello sanno esserlo. Perché l’equazione più salita uguale più spettacolo è, da sempre, un’equazione se non sbagliata quantomeno imprecisa, sicuramente infondata. Che le salite ci vogliono, sono necessarie, ma a volte meglio meno ma meglio che giocare d’accumulo, soprattutto quando queste non sono poi granché.

     

L’ordine d’arrivo della ottava tappa del Giro d’Italia

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