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il foglio sportivo

Il calcio segreto di Raffaele Palladino, l'allenatore del futuro

Marco Gaetani

Figlio del Gasp, va a lezione da Bielsa, il tecnico del Monza è l’ultima scommessa vincente di Berlusconi e Galliani

"Credo che nel calcio italiano si debba avere più coraggio, spero che adesso si sia rotto l’argine: mi è sembrato ci fosse un muro, la diffidenza a promuovere allenatori giovani”, dichiarava con orgoglio e un pizzico di sana arroganza Raffaele Palladino durante la sosta invernale, quando sul suo impatto devastante sul Monza e sulla Serie A c’era ancora chi nutriva qualche dubbio. I risultati, arrivati di colpo con il suo approdo dopo le settimane iniziali di sofferenza agli ordini di Giovanni Stroppa, erano estremamente meritati, come il primo successo in A maturato con la Juventus. Nonostante questo, erano stati confusi con quel concetto un po’ fumoso ma presentissimo nelle cronache sportive italiane, conosciuto con il termine di “scossa”: il cambio di allenatore che porta benefici senza una spiegazione precisa, come per magia.

 

La realtà è che Palladino sembra incarnare in pieno il profilo dell’allenatore del futuro, per gestione tecnica e capacità comunicative, e il suo lavoro è visibile partita dopo partita. In un campionato che ha già lasciato andare con troppa leggerezza Roberto De Zerbi, ora la curiosità è legata al futuro di Palladino, che si trova in teoria al posto giusto nel momento giusto: il Monza è una realtà che, anche grazie al suo apporto, vale già la metà classifica del nostro campionato, ed è ampiamente ipotizzabile immaginare una crescita in tempi rapidi. Non ha paura di imparare, di recente è apparso a Coverciano per ascoltare una lezione tecnica impartita da Marcelo Bielsa: incuriosito, il tecnico argentino lo ha preso da parte per scambiare due chiacchiere. Ha ridato ottimismo al gruppo, ne ha cambiato l’identità tattica, ha trasmesso ai suoi l’importanza del coraggio: “Per me, il dribbling è l’essenza del calcio”.

 

Palladino è l’ultima scommessa vinta del duo composto da Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, uomini che hanno scritto la storia nel nostro calcio. Sembravano però essere andati in confusione nella coda della gestione milanista: troppi azzardi finiti male, allenatori sbagliati in serie, una ricerca angosciante del coniglio da estrarre dal cilindro nel tentativo di veder spuntare un altro Sacchi, un altro Capello. Un cordone ombelicale con il passato che non era stato reciso neanche al momento del cambio repentino di inquadratura, da Milano a Monza, dal blasone alla costruzione di un amore. Il grande salto dalla B alla A ha inizialmente tradito la lucidità di Galliani. La conferma di Stroppa era parsa ai più come un atto dovuto, un riconoscimento inevitabile verso l’uomo che aveva regalato la massima serie al Monza per la prima volta nella sua storia. Ma nel calcio la riconoscenza spesso confonde le idee. Mentre sul mercato veniva costruito un Monza totalmente diverso e più abituato alla categoria rispetto a quello che era stato promosso dalla B, la decisione di tenere Stroppa sembrava in contrasto con la grandeur manifestata dalla dirigenza. Così, dopo un punto in sei giornate, l’improvviso colpo di coda. Galliani e Berlusconi, procedendo con l’esonero, avevano preferito guardare in casa invece di aprire l’orizzonte, promuovendo Palladino dalla Primavera. Sapevano già di avere un piccolo tesoro per le mani.

 

Come d’incanto, il Monza ha iniziato a volare, facendo fruttare il lavoro del mercato estivo ma senza dimenticare uomini cardine per la promozione, da Di Gregorio a Ciurria, passando per l’utilizzo non stabile ma ragionato dei vari Caldirola, Machin, Colpani, Mota e Gytkjaer. La prima mossa di Palladino è stato il cambio di modulo: dal 3-5-2 al 3-4-2-1, marchio di fabbrica del principale maestro del nuovo allenatore, Gian Piero Gasperini. Ha rimesso Carlos Augusto, altro pilastro della scalata dalla B, a macinare chilometri sulla fascia sinistra, dopo che spesso si era dovuto destreggiare da centrale mancino della difesa a tre. E poi ha stravolto la carriera di Ciurria, reinventandolo esterno destro di centrocampo dopo una vita trascorsa tra la trequarti e l’attacco. Rispetto ad altri “figli di Gasperini”, Palladino pare avere in faretra una maggiore quantità di soluzioni e principi di gioco. È dunque, il suo, un calcio nel quale si possono riscontrare alcuni richiami gasperiniani, come una certa tendenza aggressiva dei due braccetti di difesa molto orientati sull’uomo, ma anche la capacità, quando la partita lo richiede, di abbassare i ritmi. Il principale punto di rottura è però la costante ricerca del controllo del pallone. Il Monza vuole trovare spazi gestendo il possesso, anche con un palleggio insistito, se necessario. Può farlo perché Berlusconi e Galliani gli hanno consegnato una rosa dalla grande qualità nei ruoli più caldi della manovra offensiva: Pessina è utilizzabile sia da mediano, sia da trequartista, e parliamo di un calciatore stabilmente nel giro della Nazionale, campione d’Europa da protagonista meno di due anni fa; Rovella, arrivato in prestito dalla Juventus, sta confermando quanto di buono ha fatto vedere in questi anni; Sensi, infortuni permettendo, ha fatto finalmente rivedere quella tecnica sopraffina che lo aveva portato a recitare un ruolo di primo piano nell’Inter di Conte. E poi, sulla trequarti, l’estro di Caprari, tornato ai livelli di Verona dopo una prima parte di stagione complicata.   

 

Dopo il successo di San Siro, ultimo capolavoro stagionale di Palladino, che ha sottratto dieci punti su dodici disponibili a Juventus e Inter, abbiamo rivisto Galliani esultare senza freni, riassaporando l’aria da derby. Un successo doppiamente pesante, arrivato nei giorni in cui Silvio Berlusconi è ricoverato al San Raffaele. Su idea dell’allenatore, è stato proprio Galliani a tenere il discorso prepartita, a conferma di una lucidità da tecnico illuminato, che sa leggere i momenti non solo tattici ma anche emotivi. Palladino è un progetto di grande allenatore, un patrimonio da non disperdere, come l’arte del coraggio. 

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