Foto Ap, via LaPresse

A Leicester hanno sempre più nostalgia dei tempi di Ranieri

Francesco Gottardi

La squadra che l'allenatore italiano guidò alla vittoria in Premier League ora rischia la retrocessione. Del progetto vincente ormai rimane solo Vardy e molta confusione

Prima o poi doveva succedere. Anzi: la cavalcata del 2016 aveva garantito un rimbalzo insperato – sei anni di brillanti strascichi: Fa Cup e Community Shield in bacheca soltanto negli ultimi due. Il miracolo Leicester, insomma, si è rivelato progetto. E come tutti i progetti vive di fasi, rovesci di sorte e stagioni storte. Come quella in corso, che vede la squadra penultima in classifica contro ogni pronostico.

 

Sabato, al King Power Stadium, le Foxes affronteranno il Bournemouth in un fondamentale scontro salvezza: sbiaditi i tempi di Ranieri, in fumo la gestione Rodgers, dispersi i gol di Vardy. All’improvviso conta solo fare punti. Perché la Premier League non fa sconti, nemmeno alla più riuscita delle sue Cenerentole.

   

È stata la settimana più tosta, culminata con l’esonero dell’allenatore che ha guidato il Leicester negli ultimi quattro anni. A Brendan Rodgers è subentrata ad interim la coppia Adam Sadler-Mike Stowell: due veterani dello staff tecnico, l’uno nel club dal 2014, l’altro perfino dal 2007. Più del messia, serve la scossa di chi conosce bene l’ambiente. “Il Leicester sarà in ottime mani con loro”, via Bbc è arrivata la benedizione di Danny Simpson, tra i reduci del trionfo in campionato. Ecco: di quella generazione d’oro si sono ormai perse le tracce. Dopo gli addii di Kasper Schmeichel in estate e di Marc Albrighton a gennaio, l’unico superstite in spogliatoio è Jamie Vardy. Che a 36 anni resta un mito venerando (162 reti nell’ultima decade) ma si è scoperto l’ombra dell’attaccante che fu (appena una in questa Premier League).

 

I sopraggiunti limiti d’età spiegano la crisi soltanto in parte. I tifosi brontolano perché lo scorso agosto la società ha realizzato la cessione più remunerativa della sua storia – Wesley Fofana per 70 milioni di euro al Chelsea, che pure non se la passa bene – senza rispondere con acquisti all’altezza. E la ragione è semplice: nel 2021/22 il Leicester ha registrato una perdita da oltre 100 milioni di euro. La famiglia Srivaddhanaprabha, proprietaria tailandese del club, ha spiegato che “negli ultimi anni abbiamo investito tanto negli asset primari, dai calciatori al monte ingaggi. Ma per portare avanti il nostro progetto serve far quadrare i conti”. A stretto giro è stata effettuata una massiccia iniezione di capitale (221 milioni) per far fronte “ai debiti accumulati per costruire il nuovo centro sportivo e rimanere competitivi durante la pandemia (secondo Statista, il Leicester ha perso 63 milioni per le restrizioni anti-Covid, ndr)”.

   

In sintesi, è la classica stagione di assestamento. Da affrontare con relativa serenità, riteneva la dirigenza: ad oggi le Foxes vantano comunque la nona rosa della Premier per valore di mercato (443 milioni). Ma il bello del calcio inglese è che poggia su equilibri tecnici precari. In quella stessa graduatoria, altre tre squadre dall’ottavo al dodicesimo posto (West Ham, Wolves e Southampton) sono in piena lotta per non retrocedere. E in questi mesi il Leicester ha avuto la sfortuna di incappare in qualche infortunio di troppo, la colpa di difendere male (51 gol subiti) e l’ingenuità di perdere parecchi punti allo scadere. Se le partite finissero all’84’, Vardy e compagni ne avrebbero 32 anziché 25: nel glorioso 2016, in quegli stessi minuti, ne avevano guadagnati 8. La differenza tra l’impresa e la beffa, tra la pace e il baratro.

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