Ansa

Gran calma #16

Torna la Serie A ma con la mente siamo ancora in Qatar

Enrico Veronese

La prima sconfitta del Napoli, la sfida a distanza nella Capitale e il mercato di gennaio. Al piacevole gusto delle previsioni rispettate si sovrappongono le prime certezze del campionato

Perché con la mente siamo ancora in Qatar, ma presto ci sveglieremo tra Malpensa e San Siro

 

Più che il Natale e i regali, Capodanno e i bagordi, l’Epifania che prolunga inutilmente le feste, il ritorno del campionato il 4 gennaio profuma ancora di Qatar, di partite tardo-mattutine, della finale più spettacolare possibile. Tornare alla provincia dell’Italietta non è facile, specie se la Nazionale – come noto – ha dovuto disertare ancora l’appuntamento iridato: c’erano, prima della sosta, le maglie acquamarina trendy di Atalanta e Verona? E quale il livello, rapportato alla fiera internazionale del calcio osservata da lontano a novembre e dicembre? Tornano giocatori rilanciati come Amrabat e di nuovo balbettano, ricompaiono i delusi - Lukaku - e portano il loro granello a un successo storico, almeno per quest’anno. La gran calma nei giudizi oscilla tra il volere subito un altro Mundial (prima c’è un campionato e poi un altro, le coppe, le qualificazioni…) e l’apprezzamento per i tanti goal italiani del mercoledì, da Pellegrini a Immobile, da Tonali a Berardi passando per i freschi Colombo e Baldanzi: questa Giovanissima Italia sarebbe arrivata in Qatar? E come/quando ne sarebbe uscita?

 

Perché la sconfitta del Napoli, per ora, cambia poco l’orizzonte invernale

 

“Dove eravamo rimasti?”, esordì Enzo Tortora nella seconda serie di Portobello. Anno nuovo, prima sconfitta del Napoli mentre le principali inseguitrici bene (Milan) o male (Juve) vincono tutte: e c’è già chi ne legge il prodromo di un ricorso storico, 3 gennaio 1988 quando al rientro il Milan di Gullit stese Maradona a San Siro per 4-1, involandosi verso lo scudetto. Ma adesso le condizioni sono assai diverse: la crisi strisciante dello spogliatoio di Ottavio Bianchi non è nemmeno preventivabile ora. E se apparentemente tutto si rimette in gioco, gran calma: i punti di distacco rimangono cinque per il Milan, sette per la Juve, otto per l’Inter. Che ha vinto certo con merito, di attributi e tigna, prosciugando le fonti di gioco azzurre e trovando in Acerbi un leader difensivo a 34 anni: ma il gioco di Simone Inzaghi prometteva qualcosa di più armonioso e appagante alla vista, invece della solita tenacia italiana nei momenti di tensione. Flash: delude il Sassuolo (in specie rispetto ai mezzi), si esalta il Lecce, si sgonfia l’Udinese. Verosimilmente, quindi, le prime sette in graduatoria rimarranno tali fino a giugno, senza più assalti al cielo.

 

Perché un giorno potremmo ricordare il 4 gennaio 2022 nella storia del calcio italiano

 

A proposito di giovani, tema quanto mai sensibile, nella sedicesima giornata della Serie A risiede il piacevole gusto delle previsioni rispettate. Da tempo a Firenze è in rampa di lancio Alessandro Bianco, regista della Primavera dai piedi educati e dalla personalità già pronta: Italiano lo ha lanciato titolare per la prima volta, complice l’emergenza a centrocampo, e il ragazzo ha risposto come ci si attendeva. In un ruolo, peraltro, drammaticamente deficitario di talenti nazionali. Due ore prima, all’Olimpico, Mourinho teneva fede alle belle parole spese e lanciava per la prima volta da titolare Benjamin Tahirović, svedese di scuola bosniaca come il celebre Zlatan: poco scostato il ruolo in campo rispetto a Bianco, esegue il compitino per non sbagliare, con ancora un filo di soggezione. Ma se Mourinho ci investe (come prima in Bove, poi Volpato, magari Darboe) qualcosa vorrà dire. Aggiungendo lo juventino Soulé - suoi i migliori colpi allo Zini - e i suoi “fratelli” Miretti e Fagioli, si può dire che ieri potremmo aver visto alcuni dei protagonisti dei prossimi anni: chissà se tra loro ci sarà pure il terzo portiere spezzino Zovko, gettato in campo a freddo per contenere l’Atalanta. Gran calma è d’obbligo per non perderli tutti lungo la strada: ma guardare al futuro con meno pensieri è di nuovo possibile. In fin dei conti, non seguiamo il calcio anche per questo?

 

Perché il duello a distanza tra le squadre romane può dare un altro senso al campionato

 

Mourinho, dicono i detrattori, esagera coi “gusti del mese”. Non solo l’esordio di Tahirović dal primo minuto, ma anche un altro tentativo di riportare Dybala al ruolo di prima punta, che gli sarebbe congeniale non lo avessero convinto (chissà chi…) ad arretrare il proprio raggio d’azione: una mourinhata già vista altre volte con l’emarginazione di Abraham, ma che solo un tecnico con immutata autoconsiderazione può imporre ad un ambiente noto per essere frizzante. Ci riuscirà? Gran calma, il percorso è accidentato, ma i presupposti dicono di sì. Peraltro Roma e Lazio hanno giocato entrambe alle 16.30, tutto il calcio della Capitale in diretta, e ora hanno pure gli stessi punti: Sarri, una volta che aveva quasi tutti a disposizione, ha un po’ stupito mandando Felipe Anderson in panchina e rispolverando Pedro. Il duello a distanza entro il Raccordo Anulare coinvolge proprio ogni aspetto, e dal momento che potrebbe valere un posto nella Champions League prossima ventura sarà di qui in avanti uno dei leitmotiv del campionato. Curiosità a latere: Thiago Motta nel Bologna ha schierato Ferguson e Dominguez a “mansioni invertite”, omaggiando la Roma che fu di Pjanić e Perrotta, rispettivamente piede buono arretrato e incursore spezzagioco dietro la punta. Una chicca che sarà piaciuta a Luciano Spalletti.

 

Perché il mercato di gennaio pretende gran calma e tempi lunghi, specie in epoca di carestia

 

Gli allenatori lo temono perché non sanno chi rimane a loro disposizione, i tifosi sospirano e compulsano i notiziari specifici, i presidenti guardano i bilanci e spesso rinunciano ad aggiungere del loro. È il mercato di gennaio, lungo e insidioso in epoca di scambi e di tasche vuote: difficile trovare in pochi giorni la panacea a una stagione nata male, ma non impossibile. I veri affari li farà chi tira le trattative per le lunghe, allo sfinimento e al ribasso, per questo a tutti gli attori serve una dose suppletiva di gran calma. Ormai non è più sufficiente sembrare l’elemento giusto al posto giusto: come nelle richieste di personale su LinkedIn, anche per giocare a calcio serve conoscere le lingue. Così Noah Okafor, 22enne ala di belle speranze tra RedBull Salisburgo e la Nazionale svizzera, è appetito dal Milan, dall’Inter e dal Napoli anche perché parla l’italiano, facilitando le comunicazioni con l’eventuale futuro allenatore. Per converso a Venezia, dopo l’esonero del croato Javorčić, il focus era diretto verso un tecnico che si esprimesse correntemente in inglese, dal momento che bisognava assemblare americani, finlandesi, surinamesi, europei di ogni dove e pure russi (la scelta è caduta sull’ottimo Paolo Vanoli, già allo Spartak Mosca). “Come si fa a costruire così?”, chiederebbe Maradona evocato in paradiso dalla canzoncina mundial. A lui che bastava vedere uno spiraglio dove il brazuca Careca poteva inserirsi, parlando in napoletano dei bassi e nella universale lingua del pallone.

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