Foto Ap, via LaPresse

Qatar 2022

Marocco-Spagna è un algoritmo che prevede lo zero

Davide Ferrari

La Nazionale africana è una delle rivelazioni di questo Mondiale. Quella di Luis Enrique ha un gran futuro calcistico. La partita nei versi di Tahar Ben Jelloun

Nel libro Le voci di Marrakech Elias Canetti si chiede: "Che c’è nella lingua? Che cosa si nasconde? Che cosa ci sottrae? Durante le settimane che ho trascorso in Marocco, non ho tentato di imparare né l’arabo né alcuna delle lingue berbere. Non volevo perdere nulla della forza di quelle strane grida". Anche chi ha partecipato ai mondiali in Qatar ha ragionato in questo modo? Sicuramente, noi che guarderemo la partita in tv, stasera non vogliamo perdere nulla della sfida inimmaginabile tra Spagna e Marocco. La squadra africana è una delle rivelazioni di questo Campionato mondiale: giunta agli ottavi di finale senza subire neanche una sconfitta. Anche se noi italiani pure questa volta non siamo della partita, abbiamo un legame con queste due nazioni e qualcosa per essere loro grati. Almeno filologicamente parlando… Che c’è nella lingua? Che cosa si nasconde? In quella italiana sono disseminate come pepite diverse parole che vengono dall’arabo e sono giunte fino a noi proprio per la mediazione di Marocco (e di tutta l’Africa che si affaccia sul Mediterraneo) e Spagna.

     

Gli arabismi sono una particolare classe di esotismi che nel tempo si sono integrati nel vocabolario italiano e allineati alla morfologia della nostra lingua a partire dal medioevo ai giorni nostri. Già il termine Andalusia deriva dall’arabo al-Andalus cioè Spagna islamica. Si pensa che il nome che gli Arabi dettero alla parte della penisola Iberica derivi da un ipotetico Vandalusia cioè la terra dei Vandali. Nel 711 gli Arabi, popolo semitico che durante il VII secolo giunse attraverso l’Egitto e le coste settentrionali dell’Africa tolte ai Bizantini, dopo aver a lungo combattuto con le popolazioni berbere fino alle coste atlantiche, penetrarono nella Penisola Iberica che occuparono interamente. Di qui passarono nella Francia meridionale. L’influsso arabo ha un carattere quasi esclusivamente lessicale: una serie di termini che si riferiscono alla cultura araba medioevale (astronomia, matematica, medicina, filosofia ecc.), partendo dalla Penisola Iberica (o dalla Sicilia) arriva nel francese, nell’italiano, e diventa patrimonio culturale europeo.

    

Così quando oggi parliamo in continuazione di algoritmi – al-ǧabr indicava l’operazione per la quale, quando in uno dei due membri di un’uguaglianza compare un termine da sottrarsi, questo invece può venire sommato all’altro membro – dobbiamo qualcosa anche a Marocco e Spagna per averlo portato fino a noi. Se stasera qualcuna delle due squadre non andasse a segno, dovremmo a loro anche la parola zero: l’arabo aveva la parola șifr, un aggettivo che significava “vuoto”. Il matematico pisano Fibonacci latinizzò tale voce in zephirum che divenne zefiro, zefro e quindi zero. Quando parliamo di almanacco calcistico, usiamo un arabismo: al-manāḫ significa calendario. Anche algebra deriva da al-ǧabr che propriamente significa restaurazione, riduzione. Molte di queste parole hanno a che fare coi calcoli. Come quelli che – anche se lui giura il contrario – pare aver fatto Luis Enrique che perdendo con il Giappone, ha evitato la parte bassa del tabellone con Argentina e Brasile. Di diversa opinione è invece Hugo Sanchez, leggenda di Real, Atletico Madrid e Messico che intervistato da Espn ha detto: "Vi posso assicurare che l’hanno fatto di proposito. Certo, non ero lì con loro e non sono nella mente di Luis Enrique ma sono sicuro. Ovvio che il ct neghi tutto ma è chiaro che abbia pensato che perdere fosse il modo migliore per evitare un quarto di finale con i verde-oro. Hanno corso un rischio che valeva la pena correre".

  

Una mossa degna di un giocatore di scacchi insomma. A proposito: anche questo gioco, che gli arabi appresero dai persiani e questi dagli indiani, ha una lunga storia. In persiano šāh significa re e, anche senza conoscere le regole, tutti sanno che lo scopo del gioco è immobilizzare il re dell’avversario. In arabo questa mossa si chiama šāh māt che letteralmente significa "il re è morto". Sta di fatto che la prossima mossa sarà quella di battere il Marocco. Se invece i Leoni dell’Atlante dovessero immobilizzare i re spagnoli nelle maglie del proprio gioco, anche loro potrebbero aver fatto scacco matto evitando le big. Tuttavia i nordafricani hanno raggiunto gli ottavi di finale dopo 36 anni e possono comunque dirsi soddisfatti. Per usare le parole della meravigliosa poesia La mia patria è un volto del poeta marocchino Tahar Ben Jelloun, questo risultato è poesia / generata dall’assenza / un paese che nasce / sul bordo del tempo e dell’esilio / dopo un sonno profondo / sospeso a un albero / dai fragili rami / agitati nel vento / La mia patria è un incontro / avvenuto su un letto di foglie / una carezza per dire / e uno sguardo per dormire / paese lontano dalle parole. Lontano sì. Ma non troppo.  

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