Foto di  Ali Haider per Epa, via Ansa

Qatar 2022

Al Mondiale è il tempo delle valigie sempre pronte

Enrico Veronese

Iniziano gli ottavi di finale dopo l'abbuffata di partite dei gironi. Tutti i continenti rappresentati, nessuna squadra che è riuscita a vincere tre partite e la sensazione che qualche sorpresa potrebbe ancora arrivare

Ecco, la musica è finita. Sbaracca l’albergo dei serbi, a cui è sempre mancato un soldo per fare una lira. Sgomberano le stanze i costaricani, fregati dai recuperi e dalla realpolitik. Hanno aspettato tanto per vedersi, ma non è servito a niente. Arrivederci calcio arabo ed ecuadoreño, noti a chi è cresciuto tra voi: Leoni Indomabili e ranger dei Grandi Laghi, ci vediamo tra quattro anni per considerarvi ancora sorprese. La fine dei gironi eliminatori è il 16 agosto del Mondiale: non ancora gli ombrelloni chiusi, ma lo spleen di pioggia e freschi ricordi è lo stesso. Inizia un altro torneo, probabilmente più avvincente per gli scontri diretti, ma un po’ meno inclusivo, naif, spensierato come è ogni cosa ai suoi inizi. Qatar 2022 diventa grande d’autunno e deve dimenticare in fretta la sabbia dentro la valigia: nessuna nostalgia istantanea, il circo continua.

 

Eppure per un po’ mancheranno le partite furtive su RaiPlay alle 11 di mattina e quelle bulimiche delle 14, i rigori parati da Szczęsny (abituato a essere discusso e non sentirsi mai abbastanza), la meravigliosa sforbiciata di Richarlison e le reti importantissime di Aboubakar. Le punizioni mostruose di Chavez e Rashford, il balletto di al-Dawsari sopra i cristalli e la cavalcata imperiale di Leckie, l’ossessione di Cristiano Ronaldo: che per esempio Messi non ha, e non ha forse mai avuto nell’understated rappresentazione di sé.

   

Da italiane e italiani eravamo concitati per l’ultima giornata del girone tedesco, nell’altalena di punteggi variabili che generavano qualificazioni sempre diverse, capaci di far empatizzare con tutte, ora l’una, ora l’altra. Così per gli ultimi minuti della Corea, la stessa medaglia che rimbocca frettolosamente sotto il tappeto la polvere dei pastéis de nata regalati dal Portogallo per togliersi di torno l’Uruguay. In tutto assimilabili al polvorones di Natale offerti in dono dalla Spagna al Giappone, al fine di evitarsi il Brasile: ma rischiando di andare a incocciare contro lo stesso Portogallo (che ha sempre sofferto… il Portogallo), poi eventualmente alla vincente tra Inghilterra e Francia. Non una genialata, con gli occhi del prima.

  

Gironi eliminatori dove gli arbitri, forti del fuorigioco semiautomatico come una pistola, hanno continuamente smentito se stessi e il regolamento, costretti a estenuanti sedute di Var e recuperi fuori da ogni giustificazione: il gol negato a Griezmann contro la Tunisia è stato il cambio di paradigma, adesso non sarà nemmeno più valido rientrare da un fuorigioco, ma bisognerà terminare l’azione praticamente fuori dal campo, a pena di annullamento. Peccato che l’indomani Füllkrug abbia segnato alla stessa maniera, vedendosi convalidata la rete, e poco prima Lukaku aveva sbagliato in analoghe circostanze l’ennesimo centro della sua callonicamente sciagurata partita (spezzo una lancia contro i meme: molti palloni incontrollabili gli sono sbattuti addosso).

  

Un dato: nessuna squadra ha concluso a punteggio pieno. Tre vittorie in fila nel girone paiono un’utopia, ma per alcuni il mancato en plein è stato una scelta deliberata, frutto del turnover e degli incroci: ne è uscito un tabellone-flipper, dove ogni incontro non ha esito scontato o predeterminato. Ora si parrà la vera nobilitate: il Giappone può prolungare l’effetto delle sue riprese sprint, gli Stati Uniti hanno voglia di volare. Si riparte appunto con Olanda-Usa e Argentina-Australia: ma il giro di boa è sempre più triste e meno euforico dell’avvio, pensando a chi ha dovuto ripartire, magari senza sua colpa. Chi resta, almeno nelle cronache, ha sempre ragione: e con i cinque continenti tutti rappresentati agli ottavi di finale, si può dire che questo Mondiale ha già vinto se stesso.

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