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La Juventus si ritrova bella per una sera

Giuseppe Pastore

I bianconeri di Allegri danno la sensazione d'essersi finalmente data un senso tattico, psicologico e logico: vittoria per 2-0 contro l'Inter guidata da un Simone Inzaghi sempre più confuso e autolesionista

Abbiamo visto, abbiamo rivisto, abbiamo creduto di aver guardato bene, forse ci siamo ingannati. La coda della tredicesima giornata svela due vittorie contro-pronostico che sconfessano le previsioni della vigilia e rilanciano in alto quelle che oggi, classifica alla mano, sono le due migliori difese del campionato. Se la Lazio – priva dei suoi due migliori giocatori – si è furbamente adattata all'anticalcio della Roma di Mourinho, che in un secondo tempo da 55 minuti non è riuscita a tirare in porta nemmeno una volta, e ha capitalizzato il golletto di Felipe Anderson senza dover quasi sporcare i guanti di Provedel, a rubare la scena è l'urlo della Juventus. Una notte di luna piena per l'Allegrismo, con l'allenatore inquadrato a bordo campo a festeggiare i gol di Rabiot e Fagioli con due ghigni ben educati, come se in questa notte ci sperasse e se l'aspettasse, acquattata in un cantuccio dello spogliatoio, pur consapevole che il bilancio stagionale è ancora pesantemente in rosso.

   

Prima di parlare dell'Inter e dei suoi cronici problemi di mentalità negli scontri diretti, è doveroso spendere qualche riga per questa Juve vecchia e nuova che ritrova finalmente uno spirito che fino a pochi giorni fa sembrava non dico appannato, ma direttamente scomparso in qualche trama oscura di bilancio, in qualche intercapedine di Continassa, nelle umane défaillance di tanti grandi nomi che tra due settimane sono attesi in Qatar all'appuntamento della carriera. L'assenza di personalità che aveva causato l'impietoso affondamento a San Siro meno di un mese fa (8 ottobre) è stata sostituita da una prova sempre in crescendo, densa di tutti gli stilemi fondanti dell'Allegrismo migliore (quello 2014-2018 per intenderci): un piano gara furbo, di attesa calcolata e forse fin troppo cerebrale, impostato su ritmi da campionato portoghese a cui l'Inter s'è colpevolmente adeguata per oltre mezz'ora, prima di due sgasate minacciose ma tardive sul finire del primo tempo. Tuttavia senza mai perdere il filo del discorso, senza mai andare sotto di gambe e di testa, trovando in Rabiot – il più allegriano dei centrocampisti della Juventus 2022-23 – il tamburo battente che era mancato fino a ora, scoprendo in Fagioli un interprete sia intenso che fresco: intensità e freschezza, due qualità di cui la Juve del presente ha terribilmente bisogno. Meglio lui di Miretti, non solo per il gol.

  

Nel secondo tempo è arrivato tutto il resto, il miglior Kostic della stagione che ha imprevedibilmente dilagato sulla fascia di Barella e Dumfries, la DAB (Danilo-AlexSandro-Bremer) tutta brasiliana laddove una volta era tutta vecchia scuola italiana targata BBC, persino il ritorno di Federico Chiesa pieno della normalissima ruggine di chi non vedeva la Serie A da dieci mesi. Sarà bene non prendere questo Juventus-Inter 2-0 come oro colato, ancor più visto che tra una settimana la Serie A si ferma per due mesi e scomparirà dai pensieri dei giocatori.

 

Dopo la bella vittoria di ieri sera, alla Juve è sufficiente la sensazione d'essersi finalmente data un senso tattico, psicologico e dunque logico dopo tre mesi trascorsi a brancolare nel buio. Saranno molto indicative da questo punto di vista le ultime due tappe prima della pausa: la trasferta-trappola di Verona, una squadra che nella gestione Bocchetti meriterebbe più degli zero punti raccolti nell'ultimo mese, e poi Juve-Lazio, carica di significati evocativi anche per il duello a distanza tra Allegri e Sarri, con tutta la battaglia ideologica che si portano dietro.

   

L'Inter ancora una volta si specchia nelle grame e inconsistenti dichiarazioni a fine partita di Simone Inzaghi: un allenatore sicuramente molto preparato ma pesantemente carente in fase comunicativa e – sospettiamo – anche di presa sullo spogliatoio, secondo cui ogni sconfitta non è mai colpa di nessuno se non della solita sequenza di sfortunati eventi. Le sconfitte stagionali sono già sei, cinque in campionato, e nessuna squadra ha mai vinto lo scudetto dopo aver perso almeno cinque partite nel girone d'andata. Quel che è peggio, queste sconfitte si somigliano tutte: 13 gol subiti tra Lazio, Milan, Udinese, Roma e Juventus, sempre con progressivi e inarrestabili smottamenti tra primo e secondo tempo (9 reti su 13 sono state incassate nella ripresa), sempre nell'incapacità di Inzaghi di provocare una svolta in positivo dalla panchina. Se in alcuni casi i cambi erano stati sciagurati e auto-lesionisti (celebre la doppia sostituzione nel primo tempo di Udine degli ammoniti Bastoni e Mkhitaryan), ieri sono stati semplicemente tardivi e peggiorativi. Perché togliere il migliore in campo Calhanoglu, uno dei pochi in grado di scardinare da fuori area il blocco basso della Juventus (la risposta è sempre la stessa: perché era ammonito)? Perché far uscire anche Dimarco, togliendo in un colpo solo i due migliori calciatori da fermo? Perché intrupparsi in mezzo con Correa, Dzeko e Martinez proprio come voleva la Juve, quando il legnoso bosniaco era ormai in riserva da dieci minuti? Sono domande che ricorrono nella narrazione di questa stagione interista, in cui i cambi di Inzaghi – vero tallone d'Achille del tecnico piacentino già dalla scorsa stagione – non sono stati brillanti nemmeno nelle serate più gloriose tipo Barcellona. Così ancora una volta l'Inter finisce lentamente fuori fuoco come Robin Williams in “Harry a pezzi” di Woody Allen, senza sapersene spiegare razionalmente il motivo, anzi alimentando il rimpianto: con tutti i gol che ci siamo mangiati...!

 

Invece non è un caso: una mancanza di fantasia, carisma, improvvisazione creativa, chiamatela come volete, che però parte anzitutto dal suo allenatore, che com'è successo contro Lazio, Roma o Udinese consegna ancora una volta la mezz'ora finale di uno scontro diretto al tecnico avversario. L'Inter è settima: lasciamo perdere il Napoli e capiamo le assenze di Lukaku e Brozovic, peraltro sostituito in maniera eccellente da Calhanoglu, ma una squadra con Skriniar, Bastoni, Barella, Mkhitaryan, Dumfries, Lautaro Martinez e Dzeko non può essere la settima squadra della Serie A. Le ultime due non saranno passeggiate: mercoledì sera un Bologna in salute, domenica mattina la gita non troppo di piacere a Bergamo.

 

I Mondiali congeleranno l'esistente ma fotograferanno comunque un quadro molto fedele della situazione: 15 giornate su 38 possono già aver detto molto, quasi tutto, sul campionato 2022-2023.

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