(Ansa)

Il foglio sportivo

Le facce nuove di Milan-Napoli

Giuseppe Pastore

De Ketelaere e Kvaratskhelia fanno innamorare in tempi diversi

La stagione dell’amore viene e va. L’ultima partita di serie A dell’ultimo weekend estivo mette a confronto due specie diverse d’innamoramento. Khvicha Kvaratskhelia è scoppiato dentro al cuore dei napoletani all’improvviso nel pomeriggio di Ferragosto, come il temporale da cui non si trova riparo. Si è abbattuto sul Verona, e sembrava un caso; si è accanito sul povero Monza con tanto di tiraggiro, e sembrava una felice coincidenza; ma poi in quattro giorni si è ripetuto prima sulla Lazio e poi sul Liverpool, apparizioni tutte diverse ma sempre torrenziali. Ormai le sue brutali accelerazioni a testa bassa, da cui sfociano gol, assist o rigori procurati come a Glasgow, vengono precedute dal tuono; eppure non c’è verso. Charles De Ketelaere sta provando a farsi strada silenzioso, cerebrale, come il nuovo compagno di classe taciturno, il vicino misterioso, un personaggio di Bridgerton o – per i più grandicelli – di James Ivory. Un ragazzo pieno di contegno, che dà del voi alla vita, con un portamento da principe e adesso anche un nome da re, sinceramente troppo timido e trasparente per imporsi all’istante in una platea così isterica e ben poco avvezza alla sensibilità come il campionato di calcio italiano.

 

Se Kvaratskhelia è già Kvara-Dona per i cacciatori di titoli a sensazione e lui nulla fa per scacciare dal tempio i portatori di una tale blasfemia, il paragone impossibile con Kakà rischia di segare silenziosamente le gambe a CDK. Se Gianni Brera usava riferirsi a Gianni Rivera con l’epiteto (tra i tanti) di “pallido prence mandrogno”, i tanti mini-reporter da social e siti web, un po’ più illetterati, non hanno ancora inquadrato l’espressione adatta per definire i primi quaranta giorni italiani di De Ketelaere, che dal canto suo si è limitato a distillare promesse di grande calcio. C’è il suo discreto zampino nella bellissima azione con cui il Milan ha pareggiato a Salisburgo all’esordio in Champions, c’è un bell’assist a Leao nell’1-0 contro l’arrendevole Bologna, poi poco altro di concreto, di quelle cose che finiscono negli highlights di tre minuti che pare siano ormai l’unica forma di intrattenimento calcistico concepito. Bisogna scavare nelle pieghe della tattica, avere la pazienza di sorbirsi i 95 minuti interi, per assaporare gocce di CDK in uno stop a seguire, in un controllo orientato, nell’uso già sapiente del fisico per dirigere l’azione. Quell’altro, invece, è puro calcio-Youtube, roba da perdere la testa prima ancora di aver imparato a scriverne correttamente il nome: la ruleta + sventola sul palo da fuori area contro la Lazio era quasi da candidatura al Premio Puskas e la secchezza del tiro promette di creare pericoli ogni volta che carica il piede.


Torniamo al discorso iniziale del colpo di fulmine, stato d’animo a cui era particolarmente predisposto il pubblico di Napoli, rimasto single dopo dieci anni di relazione complicata con Insigne, appassita per via di una routine tecnica e psicologica ormai insostenibile. Ora, proprio come le coppie in pausa di riflessione, in collegamento dal Canada, Lorenzo si dice felice di essersi riappropriato dei suoi spazi e di poter andare al cinema coi figli. Ed è felice anche Napoli, o perlomeno serena, nella consapevolezza – dettata dalla maturità – che non è proprio il caso di ricostruire castelli in aria e fare progetti di vita col nuovo amore, con gli occhi neri e col suo gioco micidiale; ma è sufficiente godersela, prima che le sirene della Premier League arrivino a ghermire anche lui. È proprio questo il motivo per cui il Napoli può credere allo scudetto adesso molto più che l’anno scorso: perché il trauma di pomeriggi come quello di Empoli ha spazzato via l’ansia dell’ora o mai più, mortale per un ambiente che si ciba di ricordi vecchi di trent’anni. Il nemico del Napoli e di Spalletti è solo mentale: ma le farfalle nello stomaco, agitate dalle parole piene di promesse dei leader alla Koulibaly, Mertens, Insigne, che la scorsa primavera mangiarono l’anima al gruppo e all’allenatore, adesso non ci sono più. Naturalmente non è detto che non tornino, sempre a primavera, quelle maledette.


Il Milan, tutto il contrario! Ogni verbo è declinato al futuro, ogni passo sembra il primo di centomila, ogni nuovo acquisto è nato dal 2000 in avanti. Il ritrovato ottimismo rossonero, guidato dal condottiero Maldini e assecondato con saggezza da Pioli che ogni giorno deve baciare la ghiaia di Milanello per benedire l’occasione incredibile che ha saputo cogliere al volo, possiede qualcosa di caricaturale per noi italiani, addestrati a vivere alla giornata. Ci sembra che il rinascimento milanista non sia ancora stato compreso del tutto: lo provano gli entusiasmi eccessivi, di maniera, per cavalli di ritorno o carte conosciute alla Pogba, Lukaku, Di Maria che il Milan si è guardato bene dal rincorrere. Maldini ha risposto con De Ketelaere e adesso il suo rendimento “normale” suona come una sfida agli osservatori: provateci a criticarlo, non aspettiamo altro che farvi rimangiare la parola per l’ennesima volta. Per questo motivo con CDK ci stiamo tutti andando con i piedi di piombo, anche se ha faticato nel derby e si è perso Brozovic nell'azione dell’1-0, anche se finora non è andato oltre la sufficienza né da trequartista né da prima punta. Più in generale si fa vedere di rado, trascorre lunghi segmenti di partita nascosto dietro le tende, non ha ancora trovato la chiave tattica per entrare nelle frequenze di una squadra che procede assuefatta al sound delle schitarrate a tutto volume di Theo e Rafa. Se fosse finito in un ambiente più sbrindellato, mettiamo una Juventus, sarebbe già carne da macello da giorni. Invece, in una squadra che non perde da gennaio, gli concediamo ancora il lusso di scambiare certe fragilità tattiche e psicologiche per delicatezza. Ma domani sera, contro il ciclone Kvara e senza l’anticiclone Leao, è attesa anche da lui una risposta un po’ più di pancia e un po’ meno sofisticata.