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Canestri all'italiana

Quel bacio di Spissu, la commedia del Poz. L'Italbasket è lucida follia

Francesco Gottardi

L’impresa degli Azzurri sulla Serbia nasce da un vaffa di troppo dell’allenatore, che fa scattare la reazione titanica dei suoi uomini clou. La pallacanestro di Pozzecco non sarà da manuale ma è da film

È un attimo. Terzo quarto di Serbia-Italia, gli Azzurri stanno sfoderando una prestazione gagliarda. A tratti perfetta: lo squadrone di Jokic è avanti ma non riesce a trovare l’allungo decisivo. Anzi, Melli e compagni rosicchiano punto su punto. Dunque non ha alcun senso né tempismo che Gianmarco Pozzecco si lasci trascinare nel suo secondo fallo tecnico (il quarto di squadra: sì, urliamo tanto) per un contatto dubbio sul parquet.

 

 Lo stesso coach ci mette un po’ a realizzare: vuol dire espulsione. Lasciare i suoi ragazzi da soli sul più bello. E la sapiente telecronaca Fiba, a trazione anglosassone, non vedeva l’ora di sentenziare che l’Italbasket è cotta, che la tenuta mentale di una squadra passa dal self-control del suo allenatore e che insomma il puerile esagitarsi a bordocampo proprio non si addice agli ottavi di finale di un Europeo. Ma a quel punto, il galateo della buona pallacanestro è già andato a farsi benedire. Soltanto il Poz sa come: chiama a sé i dodici Azzurri, li vuole abbracciare uno a uno, in risposta uno di loro perfino lo bacia (ma non tradisce, tutt’altro). Poi il coach, in lacrime, lascia l’area tecnica di un palazzetto attonito. Tutti la scambiano per l’ultima cena. Invece è l’assurdo preambolo della nostra resurrezione cestistica.

Chi gli dà quel bacio, quasi fugace, sulla guancia, da figliolo un po’ cresciuto, è Marco Spissu. Dall’altra parte, ecco la pacca fraterna di Achille Polonara. Sono i due pretoriani di Pozzecco. Si erano incontrati la prima volta a Sassari nel 2019, quando i sardi in crisi di risultati scommettevano sull’ex playmaker per la panchina. E lui li ha ripagati con una coppa europea più una finale scudetto, contro ogni pronostico. Solita ricetta del Poz: fiducia incondizionata, spirito di gruppo, euforia su ogni pallone. Soft skills che rimangono dentro e che talvolta travolgono tutto, tattica compresa. Anche a tre anni di distanza. Perché dopo l’espulsione del coach, Spissu e Polonara (tutti gli Azzurri, ma soprattutto loro) iniziano una partita a sé. Piovono triple, muri difensivi, mortifere transizioni. Dal 63-57 Serbia al 25’, l’Italia tocca il 70-82 a metà dell’ultima frazione e non si guarda più indietro. All’interno del nostro parzialone, 23 punti su 25 portano la firma del play e dell’ala grande. Più due assist e altrettanti rimbalzi a testa. Marco segna cinque volte da tre, Achille lo fa da nove metri. Pozzecco li telecomanda dal tunnel.

È una sinfonia irripetibile, da cineforum. Sembra che risuoni il soundtrack del Gladiatore. O quello di Space Jam, quando nel film Michael Jordan fa bere ai compagni la sua ‘secret stuff’ per guidarli alla rimonta: naturalmente ci riesce, poi rivela loro che è semplice acqua. Come la sfuriata del Poz, portentoso effetto placebo di lotta e spavalderia. Ormai la macchina azzurra sfreccia col pilota automatico. E la favoritissima Serbia va in tilt, snervata. Ci si mette pure la Mercedes Arena di Berlino, che a ogni time-out chiamato da coach Pesic fa partire in successione L’italiano, Gianna, Il più grande spettacolo dopo il Big Bang e altre beffarde hit di repertorio. Jokic segna da metà campo per ricordarci chi è l’extraterrestre. Poi, a tempo scaduto, stoppa il povero Biligha con facilità irrisoria. Ma lui e Micic, i due Mvp delle ultime due edizioni di Nba ed Eurolega, ai quarti non ci saranno.

Tocca a noi, di nuovo contro ogni pronostico. Mentre scorrono gli ultimi secondi, Pozzecco riaffiora dalle transenne. Un membro dello staff azzurro esulta. Poi capisce di doverlo trattenere con la forza: fino al 40’, da regolamento, un allenatore allontanato non può avvicinarsi alla sua panchina. Il Poz però lo fa lo stesso. Inginocchiato, in trance emotiva, impulso puro. Perfino Melli per un attimo lo spinge via. Non c’è né ci vuole essere contegno. Non c’è né ci vuole essere logica. Dopo la partita, fuori dagli spogliatoi, il coach intravede Giannis Antetokounmpo che si appresta a giocare (e vincere) la sua. Gli corre incontro, gli salta addosso, abbraccia pure lui. “È un ragazzo così caro”, dice del fenomeno greco. Il bello è che il nostro Europeo non si ferma qua. Ma già questo, che finale sarebbe stato.

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