Foto di Lukasz Gagulski, via Epa, via Ansa 

La finale

La Bella Italia vince il Mondiale, ora si prenda la Superlega

Pierfrancesco Catucci

Nel massimo campionato italiano di pallavolo hanno giocato, giocano e giocheranno i migliori pallavolisti al mondo. Tra di loro molti azzurri devono ancora affermarsi, nonostante facciano parte del gruppo guidato da De Giorgi

Lo diciamo subito: questo è il Mondiale di Fefè De Giorgi. Perché nessuno ci avrebbe scommesso alla vigilia: squadre come Francia, Polonia, Stati Uniti, Brasile erano sicuramente più attrezzate. Almeno in termini di esperienza a giocare a quel livello lì. Nel gruppo azzurro solo Simone Giannelli (un fenomeno) e Simone Anzani (il fratello maggiore della squadra) sapevano cosa significasse quel palcoscenico. Non erano mai riusciti a far bene, ma almeno quel brivido l’avevano già vissuto. Il resto è una banda di ragazzi spavaldi, messa insieme a settembre da De Giorgi per ricostruire dalle fondamenta una nazionale che aveva bisogno di un cambio generazionale. campioni d’Europa dopo un mese. Campioni del mondo dopo un anno. E nel 2024 ci sarà l’Olimpiade di Parigi. L’unica manifestazione a cui De Giorgi non ha mai partecipato: ("Ecco perché non l’abbiamo mai vinta", scherza sempre lui).

 

Questa è la squadra di De Giorgi perché Fefè ha la stessa faccia buona dei suoi ragazzi. Ha insegnato loro a sorridere, a non prendersi troppo sul serio. Con la cultura del lavoro che, a sua volta, aveva imparato da Julio Velasco e dai tanti allenatori con cui ha lavorato. Ha insegnato ai suoi ragazzi che nei momenti di difficoltà non bisogna arrendersi, ma ricominciare a fare (bene) le cose che si sanno fare meglio. Le più semplici, quelle provate e riprovate in allenamento (la cultura del lavoro). E allora ha insistito su quelle. E non solo i suoi ragazzi l’hanno seguito. Una nazione intera si è appassionata all’avventura di una banda di giovani partita alla conquista del mondo con due sole armi: la consapevolezza di aver preparato al meglio la manifestazione e il sorriso che dà serenità a se stessi e a chi guarda, ma mina le certezze degli avversari. Il sorriso che ha fatto rinnamorare della pallavolo il popolo dello sport italiano, come negli anni novanta con la “Generazione dei fenomeni”. Su Rai 1, per la finale, c’erano 3,8 milioni di telespettatori per uno share del 22,3 per cento; su Sky sport ce n’erano 452mila. Numeri da partita di Champions league di calcio, nonostante la contemporaneità di Juve-Salernitana.

 

Tutti si sono immedesimati in quell’allenatore-papà che non ha avuto paura di credere nei giovani e, l’anno scorso, li ha presi addirittura dalla Serie A2 e li ha portati sul tetto d’Europa. Alcuni di loro non sono ancora titolari in Superlega. A cominciare da Yuri Romanò, l’opposto della nazionale campione del mondo lo diventerà solo tra qualche settimana, quando comincerà la stagione con Piacenza. Roberto Russo continuerà a giocarsi il posto a Perugia con due giganti come il brasiliano Flavio e l’argentino Solé, Giulio Pinali sgomiterà a Trento per riprendersi il posto. E poi Bottolo, Mosca, eccetera. E allora diamo loro una maglia. Lasciamo che crescano in Superlega. Solo così potremo provare a dare l’assalto a quella medaglia d’oro che ancora manca al volley italiano, quella olimpica.

 

Perché il campionato italiano è il migliore del mondo. Basta un dato per dimostrarlo. È sufficiente prendere le rose delle altre tre semifinaliste oltre all’Italia e guardare quanti di quei giocatori giocano, hanno giocato o giocheranno da noi: 20 su 42. Perché, se a livello femminile la concorrenza con la danarosa Turchia, di tanto in tanto, porta allo "scippo" di qualche campionessa (l’ultima in ordine di tempo è la nostra Paola Egonu, ormai tra le prime tre giocatrici al mondo), in campo maschile la Superlega italiana (che ripartirà nel weekend del 2 ottobre) è tornata da anni a essere un punto di riferimento per la pallavolo mondiale.

 

E, tornando al paradosso di prima, a pagarne in qualche misura il prezzo è la nostra stessa nazionale con questi giovani che faticano più del necessario a trovare spazio. La speranza è che il lavoro di De Giorgi, che ha festeggiato come meglio non avrebbe potuto il primo compleanno azzurro, e di Julio Velasco (che dal 2019 coordina l’attività delle nazionali giovanili) permetta ai club di casa nostra di guardare con occhi diversi ai nostri giovani, senza però privarsi dell’apporto dei campioni di tutto il mondo che non fanno fatica ad accettare le offerte che arrivano dall’Italia.

 

A cominciare dal cubano (naturalizzato polacco) Leon, uno degli schiacciatori più forti del pianeta, che, però, ha dovuto rinunciare al Mondiale per infortunio e che avrebbe portato al 50 per cento esatto il bilancio degli “italiani” in semifinale mondiale. O al compagno di nazionale Kamil Semeniuk, grande protagonista anche nella finale contro l’Italia e a maggio nella finale di Champions league vinta con la maglia dello Zaksa contro Trento.

 

Nella prossima stagione sarà una delle stelle di Perugia, a completare la diagonale di posto 4 proprio con Leon. E tra i polacchi c’è anche Kurek, che ha frequentato per tre stagioni il nostro campionato (a Civitanova e Monza), e che spesso è riuscito a scardinare il muro azzurro in finale. Così come mezzo Brasile bronzo mondiale, con Leal (cubano d’origine come Leon), in Italia dal 2018 tra Civitanova, Modena e Piacenza, il palleggiatore Bruno (che a Modena è di casa) e il suo erede Cachopa (in arrivo a Monza), lo schiacciatore Lucarelli (a Piacenza dopo due stagioni tra Trento e Civitanova), e i centrali Lucas (a Modena nel 2016) e Flavio (ora a Perugia).

 

E lo stesso discorso vale per la nazionale slovena, per 12 quattordicesimi protagonista, presente o passata, nel nostro campionato: su tutti la giovane promessa Rok Mozic (già grande scoperta l’anno scorso di Verona), uno destinato a diventare un campione. E poi ci sarebbero anche le diverse decine di allenatori italiani che esportano i principi della nostra pallavolo nei principali campionati del mondo, a partire proprio dalla Polonia. Ma questa è tutta un’altra storia. Ora facciamo giocare i nostri giovani.

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