Il Foglio sportivo

In Irlanda non c'è birra senza calcio. Salva la squadra della Guinness

Emmanuele Michela

Il St. James’s Gate, che era nato come dopolavoro proprio per gli operai del St. James’s Brewery, il birrificio dove nasceva la Guinness

"Birra, burro e biscotti”. Nella Dublino che lotta per rendersi indipendente dagli inglesi a inizio Novecento, ci sono poche aziende manifatturiere che trainano la città e offrono lavoro a una popolazione fondamentalmente povera. La più celebre sorge a sud ovest, zona St. James’s Gate, ed è il marchio irlandese per definizione: la Guinness, che in questo terreno si trova dal 1759, anno in cui Arthur Guinness ottenne in concessione l’area al prezzo di 45 sterline per 9.000 anni, per produrre una stout che sarebbe diventata celebre in tutto il mondo.

  

E nella Dublino di inizio Novecento c’era un club di calcio, il St. James’s Gate, che era nato come dopolavoro proprio per gli operai del St. James’s Brewery, il birrificio dove nasceva la Guinness. La squadra, quest’estate, è andata molto vicina a sparire: motivi economici avevano spinto la dirigenza a esporsi con dichiarazioni inequivocabili, a luglio: “Scriviamo queste parole con il cuore pesante ma purtroppo è arrivato il giorno in cui non abbiamo altra scelta che chiudere dopo 120 anni di storia”. Pochi giorni dopo, però, la bella notizia: un investitore – Andrew O’Callaghan, che in passato era stato presidente dei concittadini del St. Patrick – si è fatto avanti, e la squadra è così salva. Dopo un luglio turbolento, ecco che in questi giorni si attende l’inizio della nuova stagione, la numero 120.

 

Non che il legame con la Guinness fosse ancora qualcosa di vivo: ormai dal 2017 la Diageo, la società che gestisce il marchio della stout più famosa al mondo, aveva venduto il campo di Iveagh Grounds – dove il Gate giocava dal 1928 –, lasciando senza sponsor il club, che ormai da tempo proseguiva il suo impegno sportivo in leghe minori – dal ’96 non partecipava alla First Division –, con minor popolarità rispetto al passato ma impegno immutato.

 

Qui da dove partivano i pellegrini irlandesi nel Medioevo per recarsi a Santiago di Compostela (ecco perché la porta era intitolata a San Giacomo), fu un medico, a inizio Novecento, a pensare un club di calcio per gli operai della Guinness: si chiamava John Lumsden, veniva da Drogheda e a Dublino aveva fondato in precedenza anche un club di golf, oltre alla St. John Ambulance Brigade of Ireland. Anni prima – era il 1902 – nel visitare le centinaia di abitazioni degli operai della Guinness, azienda di cui era medico, spinse perché venissero migliorate le condizioni igieniche delle strutture nonché l’alimentazione delle loro famiglie. E, non da ultimo, si accorse del beneficio che poteva avere lo sport sui lavoratori, e spinse perché potesse nascere un club di calcio per mastri birrai, imbottigliatori, magazzinieri, ecc… Non era di per sé una novità, all’epoca: la Jacob’s, che produceva biscotti in città, aveva anch’essa una sua squadra di calcio, al pari del Dundalk, nato come club di ferrovieri, che vivevano una sorta di derby coi “colleghi” del Midlands Athletic. A Cork, invece, c’era il Fordsons, che faceva giocare operai dello stabilimento Ford presente in città, mentre il Linfield, a Belfast, nacque per i lavoratori di un’azienda che produceva biancheria. Il St. James’s Gate sarebbe diventato poi una polisportiva, con anche spazio per tennis, ciclismo, rugby, accessi alle piscine e alle palestre.

 

La storia del Gate corre a braccetto con quella dell’indipendenza irlandese: col paese lanciato verso un’autonomia da Londra e, quindi, verso una sua partizione in due, nel ’21 prese via il primo campionato nazionale irlandese, staccato, di fatto, dalla Ifa e dai club di Belfast con cui non di rado si erano registrate turbolenze. A partecipare furono solo otto squadre di Dublino, tra cui appunto il St James’s, che al termine della stagione fu primo e vinse il titolo.

 

Nel’ 24, poi, quando alle Olimpiadi di Parigi partecipò per la prima volta una selezione di atleti irlandese, in Nazionale ci finirono non pochi ragazzi del Gate, che già da un pezzo aveva aperto le sue fila anche ad atleti non dipendenti Guinness. Tra i calciatori più celebri si ricorda John Carey, che al Manchester United avrebbe superato le 300 presenze. Carey – che durante la guerra combatté in Italia con gli inglesi e pare abbia giocato qualche match con squadre italiane col nome italianizzato di “Cario” – sarebbe stato poi capitano dell’Irlanda nello storico match vinto nel ’49 a Goodison Park contro l’Inghilterra, prima sconfitta patita dai Tre Leoni in casa per mano di una squadra non britannica, quattro anni prima dello storico 6-3 dell’Ungheria a Wembley. Rieccolo, il pallone che s’intreccia con la storia d’Irlanda.

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