Arrigo Sacchi con Silvio Berlusconi ospiti a Porta a porta 

Sacchi e il Cavaliere

 Arrigo Sacchi: “Il calcio come il paese: troppa tattica, poca strategia. E io voto Cav.”

Antonello Sette

“L’attimo più bello è stata la mia carriera”. L'ex ct, il vate universale del calcio senza tempo, nato nella terra di “Amarcord”, racconta la sua vita, come si racconta una favola

“Non ho nessun rammarico – dice al Foglio – Quando una persona si impegna al massimo delle sue capacità, è comunque un vincitore morale”. Ha mai pensato che Silvio Berlusconi è stato per lei come una grazia ricevuta? “Ho smesso di giocare a diciannove anni e oggi vengo considerato da France Football fra i tre migliori allenatori della storia. Sono stato anche definito uno di quelli che in assoluto hanno contribuito di più all’evoluzione del calcio. In principio non ero nessuno ma, quando sono arrivato al Milan, ero già stato in sette società, senza mai essere esonerato e vincendo anche qualcosa. Sì, sono andato oltre il sogno. Non avevo mai pensato di arrivare dove sono arrivato. Ringrazio tutte le persone che mi hanno aiutato: presidenti, dirigenti e giocatori. Da parte mia, ci ho messo il massimo di quanto avevo dentro per migliorarmi. Contavo solo su una grande certezza: l’amore per il calcio”.  

 

E appunto, poi arrivò Berlusconi. “Berlusconi è stato come una slavina che si abbatte su un piccolo stadio. Fra il 1989 e il 1999 ha fatto sì che una squadra italiana si innalzasse e si stabilizzasse sulla cima del mondo. Quando arrivai al Milan, premisi: ‘O siete dei geni o siete dei pazzi’. Aggiunsi: ‘Ecco la mia firma. Metteteci il numero che volete’. Berlusconi in quel momento non c’era e Galliani scrisse una cifra, che era inferiore a quella che percepivo al Parma. Ricordo che, quando incontrai Berlusconi per la prima volta, mi predisse che saremmo diventati la squadra più forte del mondo. Gli risposi che era allo stesso tempo frustrante e limitativo. Lui replicò che frustrante lo capiva, limitativo un po’ meno. Quel limitativo mi era, in effetti, sfuggito senza un perché, ma dopo che France Football, Sofutbol e l’Uefa definirono il mio Milan la più grande squadra della storia, quel limitativo ha trovato a posteriori un senso compiuto. Abbiamo lavorato molto e abbiamo cercato, in un paese che aveva confuso i valori, di rimetterli al loro posto. Vincere senza la bellezza e il coraggio è solo momentanea illusione”.

 

In quale giovane allenatore si rivede? “Costacurta mi disse un giorno che ci avevano copiato in tutto il mondo, meno che in Italia. Il calcio è lo specchio della storia e della cultura di un paese. Oggi l’Italia è un paese forte nel tatticismo e debolissimo nella strategia. Noi eravamo esattamente l’inverso”. Chi sono gli strateghi del 2022? “Sarri, Gasperini, Italiano, De Zerbi. La vera rivoluzione la stanno facendo loro, anche se nessuno allena una vera big”. Il perbenismo e lo snobismo degli Agnelli o il populismo di Berlusconi? “Berlusconi. E’ stato un presidente perfetto. A mettere su una baracca sono buoni tutti ma, se vuoi costruire un grattacielo, devi pensare per prima cosa alle fondamenta. Lui in questo è stato unico. Iniziammo il primo campionato non benissimo. Berlusconi ci convocò tutti nel suo studio. Disse che aveva piena fiducia in me e che solo chi mi avrebbe seguito sarebbe rimasto al Milan”.

 

Gene Gnocchi ha scritto un libro che ha per titolo ‘Il culo di Sacchi’. Leggenda metropolitana o qualche volta la dea bendata le ha dato davvero una mano? “Non credo nella fortuna. Di solito è il nome che si dà all’abilità altrui. Oggi sembra che il mestiere di allenatore sia ristretto a chi è stato un calciatore di successo. Finirà come con i cantastorie, che si tramandavano il mestiere di padre in figlio e che poi sono spariti. Siamo un paese confuso, che crede che le conoscenze valgano più del merito”. Fra poco più di un mese si vota. Centrodestra o centrosinistra? “Sono riconoscente a Berlusconi e lo voterò, anche se non mi è piaciuto come si è comportato con Mario Draghi”.

 

Che effetto le fanno i calciatori italiani, anche di prima fascia, che scelgono di andare a giocare nella Major League Soccer americana? Prima o poi sarà quello il campionato più bello del mondo? “Per ora è certo che noi siamo messi male. Negli ultimi 11 anni abbiamo vinto solo la Conference con la Roma. Nello stesso periodo la Spagna di coppe ne ha vinte 16. Una differenza abissale, che non è collegata al denaro investito. Non abbiamo speso meno della Spagna. Il problema è che siamo un paese vecchio, in perenne crisi economica e culturale. Si confida solo nello straniero, per mascherare la povertà di idee. Le idee le hanno, semmai, solo le squadre tradizionalmente di seconda fascia: l’Atalanta, il Verona, la Fiorentina, il Sassuolo, lo Spezia. Sono tutte squadre che provano ad attaccare, mentre le big, tranne forse il Milan, dopo aver accumulano campioni e debiti pensano a coprirsi”. A proposito, chi vincerà il campionato di casa nostra? “Non so prevedere il futuro. Spero chi avrà più coraggio. E chi metterà la conoscenza al servizio dell’innovazione”.

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