Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Ct padri, padroni e zii

Alessandro Bonan

Da Bearzot a Roberto Mancini, l'Italia del calcio vista dagli allenatori che hanno guidato la Nazionale

Padri, padroni e zii. Ecco i ct nella storia, quella almeno più recente, dalla Spagna in poi. Bearzot fu padre considerando la sua squadra una famiglia. Per questo difendeva i deboli, mettendo in punizione i cattivi. Come accadde nel 1982 insistendo con un Paolo Rossi esangue e disarmato, senza il tiro, il dribbling, il passo né l’espressività, qualsiasi traccia del calciatore che poi si rivelò dal Brasile in poi, accantonando Massaro, colpevole di aver giudicato inadeguata al suo rango la posizione in campo in cui lo aveva messo il ct.

Vicini fu lo zio saggio, un po’ antico ma scapolo, quello che la domenica ti porta una scatola di cioccolatini in visita con la sua nuova fidanzata. Niente di realmente accaduto, solo fiction della memoria, visto che Azeglio era in verità un uomo di famiglia. Solo che aveva un che di distaccato, un asintomatico pudore, che lo rendeva acerbo, lineare e per questo piuttosto imperscrutabile.

Dopo di lui un padrone e ancora un padre.

Il primo fu Sacchi di cui ci ricordiamo soprattutto una sostituzione, quella di Baggio con Marchegiani, nella quale, per inteso, Arrigo fece la cosa giusta. Sacchi, come un padrone, possedeva la sua terra difendendola da ogni tentativo di intromissione. A forza di ergere confini, si ritrovò da solo, giocando a rimbalzino con le parole, ct amato da se stesso e incompreso un po’ da tutti. Maldini che padre era, padre rimase anche alla guida della Nazionale. Un uomo semplice ma di ottimi principi, che credeva nella sincerità, così diretta da farlo diventare a volte insofferente a chi non gli piaceva. Il Trap invece piaceva a tutti, ed era quasi impossibile coprirne la simpatia spontanea. Quell’acqua santa in mano lo rese popolare ma improbabile, come un fedele che recita il rosario dentro una chiesa sconsacrata. Fu zio e padrino, ma tutto meno che un padre. Saltando Zoff, che fu uguale al Vecio, con Marcello Lippi l’Italia ritornò in mano a un padrone, anzi qualcosa di più: un dominus. Lippi vinse da solo, portando sulle spalle tutto il peso di un’Italia in guerra per via dell’esplosione di Calciopoli. Un generale che scelse la battaglia in campo aperto, sfilando la bandiera dall’asta dei nemici. Con Donadoni e poi Prandelli, l’Italia uscì dai suoi parenti, scegliendo due persone di buon senso e di poche parole, che come entrarono così lasciarono. Dopo di loro, un dittatore illuminato, semmai questa categoria ci faccia un po’ pensare: Antonio Conte. Il suo spadroneggiare è noto, che sia l’Italia o l’Inter, di lui ci resta abbacinante l’indomito furore. Da oggi, cambia la storia.

Mancini non sarà un padre, neanche uno zio e tantomeno un padrone. Magari un figlio a cui lasciare tutto, sperando non che non spenda in fretta il nostro tesoro.

P. S. In questo elenco manca Giampiero Ventura perché con lui è mancata la Nazionale

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