Marco Pantani sull'Alpe d'Huez al Tour de France 1997 (foto Wikimedia Commons)

Il Foglio sportivo

Tour de France. Una passione chiamata Alpe d'Huez

Giovanni Battistuzzi

Il 4 luglio del 1952, settant'anni fa, la Grande Boucle scoprì per la prima volta una delle salite-icona del ciclismo. Vinse Fausto Coppi, ma per pubblico e organizzazione fu un disastro, nonostante il Campionissimo. La storia poi sistemò le cose

Qualcosa da celebrare lo si trova sempre nel ciclismo. È nella natura di questo sport la propensione a esistere in una dimensione allargata del tempo, che abbraccia passato e presente e li fonde assieme, come non ci fosse una cesura netta tra cosa è stato e cosa è. Come se tra Petit Breton, Coppi o meglio coppiebartali, Anquetil, Merckx, Hinault, Pantani e i corridori di oggi non sia trascorso oltre un secolo, ma solo un istante, magari lungo, ma un istante appena. D’altra parte  la bicicletta è, più o meno, sempre la stessa. Uguale per funzionamento, con qualche dente in più tra i pignoni per grazia ricevuta. E pure i luoghi non sono cambiati molto da oltre un secolo. Certo ci sono novità continue, ma  ai santuari ci si torna sempre. Anche se sono santi che non esistono, Sanremo, posti dimenticati dal dio dei francesi, Roubaix. Per le salite è più facile: servono. Sono aperti a tutti i santuari del ciclismo, segnano un serpentone di ricordi che si sommano a novità che si trasformano in ricordo. E questo di anno in anno. Il Tour de France che parte oggi, venerdì primo luglio, dalla Danimarca ha scelto di inserire la celebrazione più importante nel giorno più importante, il 14 luglio, festa nazionale. Quel giorno la 12esima tappa finirà in cima all’Alpe d’Huez, come era successo 70 anni fa per la prima volta, il 4 luglio, quando Fausto Coppi conquistò vittoria e maglia gialla.

 

L’ Alpe d’Huez è millecento metri di dislivello, ventun tornanti, tredici chilometri e ottocento metri di strada all’ottovirgolauno per cento di pendenza media, undicivirgolacinque di massima. Ma sono numeri e dicono poco o niente. È soprattutto trenta passaggi dal 1952 al 2018.

 

Passaggi che non sono mai stati passaggi in realtà, ma arrivi, che per un bel po’ di tempo, l’Alpe d’Huez era un cul de sac ascensionale. C’erano un’ottantina di casupole nel Medioevo, un’ottantina di casupole erano rimaste per secoli, poi la modernità ha portato gli sci e negli anni Venti del Novecento sono arrivati gli alberghi e negli anni Trenta gli impianti di risalita. Sempre un cul de sac però rimaneva. Una strada che partiva da Le Bourg-d'Oisans e all’Alpe arrivava. Le altre, quella da Mizoën e quella da Allemond, sono invenzioni ben più recenti.

 

C’era mai stato un arrivo in quota al Tour de France prima dell’Alpe d’Huez. E fosse stato vivo Henri Desgrange, colui che il Tour se l’era inventato, non ci sarebbe stato proprio. Perché Desgrange diceva che la montagna è un insieme di salita e discesa e un corridore, e quelli che vincevano al Tour de France erano corridori perché era il Tour a rendere corridori chi altrimenti gareggiava in bicicletta soltanto, doveva dimostrarsi tale su tutti i due versanti. Henri Desgrange morì nel 1940 e Jacques Goddet, nonostante fosse il suo delfino spirituale, era uomo ben meno integralista e molto più scaltro finanziariamente. Così, quando gli diedero in mano uno di quegli assegni gonfi di zeri, decise che mica era blasfema l’idea di un arrivo in salita e che, certo quella salita era un cul de sac e neppure era granché, ma a vederla bene, a considerare tutto, non era poi tanto male.
L’Alpe d’Huez? “Puah. Una salita che porta in un posto per ricchi con la puzza sotto il naso, vuota di gente e con una strada di merda. È una montagna? È un’attrazione turistica”. Lucien Lazaridès, che fu terzo al Tour del 1951, e diciannovesimo quel 4 luglio del 1952, settant’anni fa, non nascose come la pensasse. E pure il pubblico che, il giorno seguente – giorno di riposo e d'anticipo del grande volo a pedali di Fausto Coppi verso Sestriere –, lo applaudì e si complimentò con lui per quello che aveva detto il giorno prima, chiarì che l’esperimento era da considerarsi fallito.

 

C’era di meglio in giro, al Tour de France, dell’Alpe d’Huez.

 

Dire oggigiorno una cosa del genere, soprattutto in Italia, soprattutto dopo le imprese di Pantani (alla Grande Boucle del 1995 e del 1997), sembra eresia.

 

La salita è la stessa senza essere la stessa. Perché dal 1952 al 1976, anno nel quale tornò in percorso, ci fecero l’asfalto e soprattutto la gente si abituò all’idea che si potesse salire su di una montagna senza discenderla, che uno striscione d’arrivo potesse essere meraviglioso anche a (più o meno) alta quota.

 

Anche oggi c’è di meglio dell’Alpe d’Huez. Eppure non c’è di meglio. Perché l’Alpe d’Huez non è solo tutti i numeri sopra elencati. Anzi c’entra niente con i numeri sopra elencati. È diventata un luogo animato, almeno tra la primavera e l’autunno, da quella dimensione allargata del tempo che caratterizza il ciclismo.

 

È ancora la montagna degli olandesi perché ci vincevano gli olandesi negli anni Settanta. E ora, anche se gli olandesi non ci vincono più (l’ultimo fu Theunisse nel 1989), lo è rimasta perché gli olandesi, i tifosi però, si ritrovano lì da tutti i Paesi Bassi: la sentono casa loro anche se non è più cosa loro. E pure gli italiani la sentono casa loro, e la chiamano la montagna degli italiani, perché c’hanno vinto in tanti e per primi, Fausto Coppi, e alla maniera migliore, Marco Pantani.

   

       

Ognuno ha la sua Alpe d’Huez. E nessuno direbbe più puah eccetera eccetera. Che non le si può voler male all’Alpe. Nonostante tutto.

 

Anche perché chi non è riuscito ad averla, l’Alpe d’Huez, sogna di conquistarla. A partire dagli sloveni, o almeno da quelli che hanno risposto a un sondaggio fatto dal Delo, il principale quotidiano sloveno. In prima posizione in ordine di gradimento non c’è né la vittoria del Tour da parte di Tadej Pogacar, né quella da parte di Primoz Roglic, ma il successo di uno dei due, di chi non ha alcuna importanza visto che chi ha pensato il sondaggio non l’ha specificato, in cima all’Alpe d’Huez.

 

L’Alpe vale più del Tour? Non scherziamo, sarebbe un’offesa, pure un po’ vigliacca, a Desgrange, ma Pogacar il Tour l’ha già vinto due volte e c’è una buona possibilità che la maglia gialla se la giochino quei due (con Jonas Vingegaard e Dani Martinez – davvero? – con alternative più credibili). In Slovenia la pensano così e pure in quasi tutta Europa la pensano così, e anche in gruppo probabilmente la pensano così, nonostante tutto ciò che si dice alla vigilia, ossia che tutto può essere e tutto può cambiare e che una giornata storta può capitare a chiunque. Vero, ma a certa gente, ovviamente non vale per Roglic che qualche debito con la sorte ce l’ha, capita meno che ad altra. Ed è mica per fortuna. Talento, classe, forza, potenza, fate voi. Chi scrive ha finito le parole, s’è già messo sul divano a vedere la diretta della prima tappa del Tour.

 

Buon Tour. Si dice così, no?