Il paradossale calvario sportivo e giudiziario del Chievo Verona

Ermes Antonucci

Esclusa dalla Serie B la scorsa estate, la squadra rossoblù è ancora in attesa di conoscere il proprio destino. “Il Chievo è stato vittima di un errore del legislatore, a cui è seguita un’applicazione delle regole ottusa e discriminatoria da parte della Figc”, dice Stefano De Bosio, legale del club

Sembra essere senza fine il calvario sportivo e giudiziario del Chievo Verona, club protagonista di una delle più incredibili favole della storia del calcio italiano. Rappresentante di un piccolo quartiere di quattromila persone nel cuore di Verona, il Chievo (fondato nel 1928) riuscì a scalare tutte le categorie calcistiche, fino ad arrivare alla promozione nel 2001 in serie A (dove militò ben 17 volte) e persino alla partecipazione alla Champions League (2006-2007). Un piccolo grande miracolo sportivo, reso possibile dall’impegno del presidente Luca Campedelli, proprietario della Paluani. La scorsa estate, d’improvviso, la caduta: la Figc esclude il Chievo dalla Serie B per il mancato pagamento di alcune rate del proprio debito, disponendo anche lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati.

 

Una vicenda paradossale: a far scattare la crisi sono stati infatti i provvedimenti adottati d’urgenza dal governo di Giuseppe Conte durante l’inizio dell’emergenza pandemica. “Il Chievo è stato vittima di un errore del legislatore, a cui è seguita un’applicazione delle regole ottusa e discriminatoria da parte della Figc”, dichiara al Foglio l'avvocato Stefano De Bosio, legale del club. Prima dell’emergenza coronavirus il Chievo stava regolarizzando, attraverso una interlocuzione bonaria con il fisco, un debito di circa 18 milioni di euro, mediante il pagamento di cartelle pre-esattoriali. La società, insomma, non aveva alcun carico pendente sul piano tributario, a differenza di altre squadre anche più prestigiose (si pensi alla Lazio che dal 2006 è costretta a pagare ogni anno cartelle esattoriali per estinguere un debito da 140 milioni di euro).

 

Dopo l’esplosione dell’emergenza Covid-19, l’8 marzo 2020 il governo Conte ha bloccato l’emissione delle cartelle esattoriali, ma non di quelle pre-esattoriali, considerate alla stregua di imposte correnti. Si è creato così un paradosso: “I contribuenti meno virtuosi, che avevano già carichi esattoriali pendenti  prima del Covid, con la proroga delle scadenze hanno avuto la possibilità di pagare zero. Dall’altra parte, i contribuenti più virtuosi, cioè con cartelle pre-esattoriali, si sono ritrovati con i piani di rateazione in decadenza, decadenza alla quale non ha poi fatto seguito l’emissione di alcuna cartella esattoriale, perché queste erano bloccate”, spiega De Bosio. Insomma, il Chievo si è ritrovato con un debito da pagare, ma senza la cartella esattoriale, quindi senza possibilità di ottenere alcuna rateizzazione.

 

“La Figc ha chiuso gli occhi – aggiunge De Bosio – Per un anno e mezzo il Chievo non ha potuto effettuare il suo piano di rientro mentre tutte le altre società in difficoltà, con cartelle esattoriali ricevute prima dell’8 marzo 2020, non hanno pagato nulla e si sono salvate”. Una situazione aggiunge il legale del Chievo, “totalmente incostituzionale e irrazionale”: “Molte società messe peggio del Chievo prima del Covid hanno potuto non pagare le rateazioni delle imposte, che sono state prorogate, e utilizzare quei soldi addirittura per fare degli investimenti. Si è creata una concorrenza sleale, un disequilibrio intollerabile”.

 

La decisione della Federcalcio è stata prima confermata dalla giustizia sportiva e poi dal Tar nel maggio del 2022. Il Chievo ha però deciso di impugnare la sentenza di fronte al Consiglio di Stato, che ha sospeso la sentenza del Tar e fissato l’udienza per la decisione per lo scorso 23 giugno. Quel giorno, tuttavia, è giunto un nuovo stop: il collegio giudicante si è dichiarato “impossibilitato a pronunciarsi” sul caso. Tre giudici su sei, infatti, sono stati ricusati dai legali del club, in quanto si erano già espressi sulla vicenda in sede di giustizia sportiva, rigettando alcune richieste del Chievo. Un’altra delle tante contraddizioni che caratterizzano la giustizia italiana. Il palese conflitto di interessi ha così spinto il Consiglio di Stato a rinviare ancora una volta la decisione sul destino della squadra (un tempo) gialloblù. Il giorno dopo, il tribunale di Verona ha ufficialmente dichiarato fallito il Chievo. La società ha quantificato in 140 milioni di euro il danno subito, una cifra enorme che potrebbe indurre la Figc a una trattativa volta a reinserire il Chievo in un campionato professionistico, Serie B o Serie C, magari in sovrannumero.