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Il Foglio sportivo - That win the best

Ora è ufficiale: l'Italia ha vinto l'Europeo per caso

Jack O'Malley

Che figuraccia con l’Argentina. Ma certo il ciclo è finito... Noi inglesi senza coppe vinceremo il Mondiale

Ma che cosa siete venuti a fare mercoledì sera a Wembley? “Da sempre noi vinciamo solo le partite decisive”, mi ha scritto il capo dei simpatici su Twitter quando ho chiesto se valesse la pena di venire fino a Londra per fare la figura che hanno fatto gli Azzurri. Non solo siete stati abusati carnalmente da una Nazionale buona al massimo per un racconto di Osvaldo Soriano o per un reportage piagnucoloso di Concita De Gregorio, ma ci avete pure riempito lo stadio del cuore di gente che ancora si ostina a chiamare con il nome sbagliato le isole Falkland.

Che triste fine, nemmeno un anno dopo la vittoria casuale a Euro 2020. Una sfida finta per una coppa finta, quella tra Italia e Argentina, con troppi giocatori del Paris Saint-Germain in campo perché potesse essere considerata qualcosa di più di un’esibizione circense, e gli Azzurri talmente imbalsamanti da fare sembrare Messi un giocatore decisivo. Peggio della prestazione in campo, però, c’è il ritornello del “ciclo finito” che i giornalisti sportivi italiani ripropongono continuamente, manco fossero mia nonna con il porridge o la Gazzetta con gli elogi a Urbano Cairo. Il ciclo dell’Italia era finito a Wembley poco più di un anno fa, Mancini avrebbe dovuto avere l’intelligenza di dire “che culo” e salutare tutti per restare nella storia. Troppo inginocchiata, la stampa italiana non ha fatto altro che elogiarne il genio, costruirne il mito, fare insomma quello che la stampa fa per statuto: portare l’eroe di turno abbastanza in alto perché la sua caduta sia poi più rovinosa. 

 

Che tenerezza, sentire Mancini lamentarsi del poco spazio concesso ai giovani in Serie A (avesse detto il torneo della parrocchia) e parlare di possibile ripescaggio dell’Italia, come se le qualificazioni al Mondiale fossero un quiz tv. Che pena vedere la fuga dei giocatori azzurri dal ritiro dell’inutile Nations League di questi giorni. A proposito: ci aspetta un mese di sfide angoscianti, match inguardabili tra Nazionali stanche (Spagna-Portogallo di giovedì ha avuto lo stesso dinamismo che ho io quando scendo in cantina a prendere il brandy), partite di cui a nessuno frega granché, figurarsi a voi italiani. Ma tranquilli, ci sarà da sbizzarrirsi per i commentatori, visto il girone in cui siete, con Inghilterra, Germania e Ungheria.

Già pronti un centinaio di speciali sulla finale di Wembley vinta i rigori, nuovi meme con Chiellini che tiene per il collo la Regina Elisabetta e gag sulla pastasciutta di Bonucci. Poi riproposizione di film, romanzi, citazioni dotte e aneddoti inediti su Italia-Germania 4-3, con almeno uno spettacolo teatrale di Buffa, dodici editoriali di Veltroni e almeno un colonnino sulla rivalità tra Riva e Rivera. Ma il vero piatto ricco che tutte le redazioni stanno aspettando è la sfida con l’Ungheria: direttori, analisti politici, esperti di geopolitica, attivisti LGBT, difensori dei diritti e sinceri zelenskiani stanno affilando le tastiere per succulenti articoli sull’importanza di battere sul campo i populisti orbaniani, i professionisti dell’antieuropeismo, gli omofobi cialtroni. Aspetto il tripudio di tweet di Gianni Riotta e Beppe Severgnini, i caffè di Gramellini e gli approfondimenti di Domani a spiegare che quella sul campo non è solo una partita di calcio ma una battaglia simbolica di civiltà. Noi, intanto, incredibilmente orfani quest’anno di coppe europee di club, ci prepariamo a vincere il Mondiale.

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