Champions League. La risata di Klopp e il sopracciglio di Ancelotti raccontano mondi lontani
La finale fra Liverpool e Real Madrid è anche una questione di moda, o meglio di andare di moda
Uno ha il sopracciglio ballerino, l’altro il sorriso esuberante. Uno ha l’eleganza del signore che non disdegna il bon ton da cerimoniale, l’altro l’atteggiamento del gancio, ma di quelli per bene. Carlo Ancelotti e Jürgen Klopp sono due mondi diversissimi, che si incontreranno a Parigi, a bordocampo, registi per niente occulti della finale di Champions League, stagione 2021/2022: Liverpool-Real Madrid.
C’azzeccano poco l’uno con l’altro, Ancelotti e Klopp. Umanamente e calcisticamente. Eppure allenatori vincenti, capaci di gestire uomini, gioco e inconvenienti. Si vince mai se non si sanno gestire questi ultimi. Chi insiste con la fortuna o sfortuna degli eventi non ha “chiaro in testa cos’è una stagione calcistica, forse neppure il calcio”. Bob Paisley vinse tre Coppe dei Campioni con il Liverpool, gli va dato atto che qualcosa di calcio ne capiva.
Ancelotti ha vinto tutto. Tutti e cinque i campionati più prestigiosi d’Europa, tre Champions (record con Paisley, appunto, e Zinedine Zidane). Klopp ha vinto tanto, ma meno. E’ più giovane, gli si dia tempo.
Klopp è “contemporaneo”, ha contribuito lui a determinare il modo di giocare che vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Almeno attualmente, almeno in Europa. A lui riesce meglio che ad altri. E’ facile capire perché. Quel modo di stare in campo se l’era inventato il suo maestro, Wolfgang Frank, l’allenatore che eliminò per primo in Germania il ruolo del libero, introdusse la zona e insegnò ai suoi uomini quello che l’Ajax di Rinus Michels abbozzò e che lui istituzionalizzò: il gegenpressing. Le parole tedesche non diventano mai di uso comune. A parte qualche significativa eccezione, tipo weltanschauung, che la si piazza un po' alla cavolo per rendere dotte frasi che magari non lo sono. Gegenpressing lo è diventata. Pure in Italia, dove magari non la si dice, va sempre così, si preferiscono gli inglesismi, ma la si applica. Altro non è che pratica di pressare l’avversario immediatamente dopo aver perso palla senza aspettare di riorganizzare la difesa. C’è mezza Serie A che ci prova. I risultati europei dicono che non basta prendere in prestito le idee, serve pure applicarle e avere gli uomini giusti per renderle efficaci.
Klopp lo vorrebbero far passare per un guru. Il tedesco è troppo scaltro per cadere nel giochetto, respinge le lodi, anche se un po’ se ne compiace. E’ un tedesco pratico, con le parole gioca per placarne il contenuto di stress, di tutto il resto se ne frega con un amabile e simpatico sorriso. Piace anche per questo. Anche per questo Klopp è diventato una sorta di moda.
Non è mai stato di moda invece Carlo Ancelotti. Pare impossibile che uno dei più vincenti allenatori degli ultimi decenni non lo sia stato. Tant’è, è così. Anche perché non c’è niente di straordinario nel gioco di Ancelotti. Le sue squadre sono straordinariamente ordinarie, come un film ben realizzato ma dalle inquadrature standard, piani americani e primi piani ben alternati, magari con qualche carrellata ogni tanto. C’è poco da prendere spunto. Nulla di nuovo, eppure tutto sorprendentemente attuale che quasi non ci si crede a vederlo. Al Milan vinse con un quattrotredueuno, l’albero di Natale, che era una revisione aggiornata di certo calcio anni Sessanta. Giocava bene ed efficace. E vinse, che è mai poco, spesso è tutto. Nessuno lo seguì. Lo segue mai nessuno, Ancelotti. Prendono spunto altrove, da quello che viene annunciato come nuovo. Il nuovo acchiappa sempre, spinge all’emulazione. Ancelotti è uno smoking, c’è nulla da riproporre, si pensa, ma si finisce sempre per indossarlo.
Pure Carlo Ancelotti se ne frega di tutto questo, con un amabile e simpatico sorriso. Solo che il suo è meno contagioso, un po’ più tirato. Alla faccia del luogo comune che gli italiani sono i simpatici d’Europa.
Klopp e Ancelotti si stimano, lo hanno detto e ripetuto più volte.
Klopp e Ancelotti, stima a parte, vogliono la stessa cosa, la Champions League. Avranno pensato a mosse e contromosse, con la certezza che toccherà, anche allo Stade de France, gestire uomini, gioco e inconvenienti.
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