Giro d'Italia. Il giorno di Stefano Oldani

Giovanni Battistuzzi

Il corridore dell'Alpecin, con Lorenzo Rota e Gijs Leemreize, soprendono i compagni di fuga, che avevano impietato settanta chilometri per evadere dal gruppo, sul penultimo Gpm di giornata. Nello sprint a tre vince il lombardo, alla prima vittoria in carriera

Poco meno di un anno fa, quando la Lotto-Soudal annunciò la decisione di non rinnovare il contratto di Stefano Oldani, il direttore generale della squadra belga, John Lelangue, disse all’Het Nieuwsblad, che i motivi della mancata conferma “riguardavano soltanto ragioni d'opportunità di squadra: non è il tipo di corridore funzionale al team. È fatto per correre all’attacco, in fuga. Noi invece abbiamo bisogno di ragazzi capaci di supportare le nostre punte. E Stefano nel treno per Ewan fa fatica a starci e non è un corridore adatto alle classiche del pavé. Ha però talento, è molto forte. Ha bisogno della squadra giusta, che gli permetta di correre come sa. Se riuscirà a trovarla, il ciclismo italiano si ritroverà un giorno ad avere a che fare con un gran corridore, un potenziale vincente”. Pochi giorni dopo quell’intervista Stefano Oldani firmò per la Alpecin-Fenix, la compagine di Mathieu van der Poel, la squadra giusta. Quella che ha esultato per la sua prima vittoria al Giro d’Italia, che poi altro non è che la sua prima vittoria in carriera tra i professionisti.

Dopo i 204 chilometri della dodicesima tappa del Giro d’Italia, Stefano Oldani si è disteso sull’asfalto, com’è ormai tradizione dei corridori dell’Alpecin (da van der Poel in giù), e ha trasformato la gioia in pianto. Si piange anche di felicità, soprattutto quando l’incredulità prevale su tutto.

 

Foto LaPresse
    

Stefano Oldani ci sperava che quella di oggi potesse essere la sua giornata. Lo aveva detto dopo l’arrivo sull’Etna, sua prima fuga a questo Giro, che quelle di Napoli, Jesi e Genova erano tappe adattissime alle sue caratteristiche. Non era riuscito a fuggire dal gruppo nelle prime due, non poteva perdere questa occasione. Ha corso nelle prime posizioni per settanta chilometri, ha cercato di seguire il flusso scomposto e disomogeneo del gruppo che correva e si rincorreva a oltre cinquanta chilometri orari di media. La fuga non si componeva però. È mai semplice in certi casi, quando la strada sale e troppa gente prova l’evasione. I secondìni del gruppo sono sospettosi di natura, e tanti e troppo spesso in disaccordo tra loro. Per uno che concede il via libera, c’è qualcun altro che vorrebbe imporre lo stop. Un’ora e mezza rocambolesca, piena di colpi di scena. Poteva mica durare così. E infatti non è durata. Via libera a una ventina abbondante di uomini, poi a tre di rinforzo. Da lì un tran tran d’esplorazione nelle zone interne della Liguria.

Ci sono bei monti in Liguria. Verdi, severi, affascinanti. Nessuno però ci fa mai caso ai monti della Liguria. E nemmeno ai paesi che tra i monti ancora resistono. La costa ha divorato sempre l’interesse per l’interno, ha monopolizzato l’attenzione. Non poteva che essere di Torriglia la bella che “tutti la vogliono, ma nessuno se la piglia”.

Il Giro quest’anno ha deciso che, almeno per una volta, il mare doveva essere solo una comparsa e lasciare spazio all’esplorazione di luoghi che esistono sulla carta geografica, ma non nella geografia conosciuta dalla grandissima maggioranza degli italiani.

C’era mai passata la corsa rosa per il Valico di Trensasco e nemmeno per La Colletta. Anche perché La Colletta non esiste, almeno geograficamente, è un modo di dire, riduzione di Colla di Boasi, ma tant’è. Esiste da oggi. E almeno nei ricordi di Stefano Oldani, Lorenzo Rota e Gijs Leemreize rimarrà per sempre. È nata lì la loro azione. Un allungo, uno di quelli buoni per vedere chi resta, uno di quelli un po’ alla disperata, che vanno mica all’arrivo, troppo distante, ma poi sotto il traguardo ci finiscono davvero. Perché davanti erano in tre, e tutti di buona gamba e di buona volontà. Tre uomini che facevano zero vittorie in tre e dietro in una ventina con signori corridori, gente da classiche e da grandi giri. Si va mai però troppo distanti quando i bravi dai nomi altisonanti sono tanti. Che ci si tiene un po’ di gamba perché non ci si fida degli altri. E chi si fida di Mathieu van der Poel o di Magnus Cort, o di Bauke Mollema o di Davide Ballerini.

Leemreize, Oldani e Rota invece si fidavano l’uno degli altri. Non poteva che essere così, non avevano alternativa. Tutti uniti e a tirare un po’ per uno. L’occasione è di quelle che non capitano spesso e toccava sfruttarla, alla peggio si arrivava terzi.

 

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Terzo ha finito Gijs Leemreize, secondo Lorenzo Rota, primo Stefano Oldani, che ha messo tutti in fila nel rettifilo finale, al termine di una volata che potevano perdere tutti, ma che ha regolato lui, perché prima o poi, uno come lui, “di talento e coraggio”, a dirla con Legangue, doveva prendersi la ribalta

Sesto Wilko Kelderman a cinquantasette secondi. E contento comunque. Perché è arrivato otto minuti prima del gruppo e ora è tredicesimo in classifica generale a poco meno di tre minuti dalla maglia rosa. Per la piega che stava prendendo questo Giro è tanta roba. E pure Lucas Hamilton è contento. Sotto lo striscione d’arrivo c’è finito dietro l’olandese e dietro Kelderman è anche in classifica, sedicesimo, ma uomo migliore della BikeExchange e chissà che non possa finalmente aver l’occasione di dimostrare che è anche lui, mica solo Simon Yates, uno che in classifica può fare bene. È uno forte Lucas Hamilton, uno che in salita ci va con piacere e veloce e che se ha l’occasione buona la sfrutta sempre.