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il foglio sportivo

Cinque ragioni per credere nell'Italia (verso i Mondiali)

Giuseppe Pastore

Da Verratti a Scamacca: dobbiamo avere fiducia nella qualificazione a Qatar 2022. Ma chi è il rigorista?

Ci andiamo al Mondiale, e magari lo vinciamo anche”: furono le ultime parole di Roberto Mancini nel gelo non solo atmosferico di Belfast. Una frase umana, stizzita e testarda, di chi non accettava di essere messo in discussione per una settimana sbagliata che rischia di costarci carissimo. Un perfetto cliffhanger da serie tv: quattro mesi sono passati, una nuova stagione è partita e nel primo episodio i fili spezzati in autunno devono per forza essere riannodati.

In vista dei playoff, il primo pericolo è dare per certo ciò che certo non è, ovvero la semifinale a Palermo contro la Macedonia del Nord che prevedibilmente metterà i carri in quadrato puntando ai rigori, com'è suo diritto e anche dovere visto il formato della competizione. Per nulla scontata, del resto, anche l'altra semifinale tra Portogallo e Turchia, squadra inaffidabile per definizione, in grado di schiaffeggiare l'Olanda a domicilio e poi perdere punti in casa contro Lettonia e Montenegro. Per non passare alla storia come gli eroi minori di una vittoria casuale, come la Cecoslovacchia 1976, la Danimarca 1992 o la Grecia 2004 che fallirono tutte e tre la qualificazione al Mondiale successivo, l'Italia 2021-22 deve sforzarsi di guardare da lontano, “emanciparsi dall'incubo delle passioni” per dirla alla Battiato. Non caricarsi l'inutile pressione di dover salvare il calcio italiano, come da slogan populisti dell'ultim'ora dopo l'eliminazione della Juventus in Champions. Riguadagnare prima di tutto serenità e lucidità: il famoso “spirito di Wembley” che poi – in quanto spirito – può essere inafferrabile, oppure già dentro di noi.

 

Proviamo a dare l'esempio: ecco cinque buoni motivi per cui andremo in Qatar.

Chiellini e Bonucci. Non sappiamo ancora se ci saranno: Chiellini è rimasto in panchina contro il Villarreal mentre il suo storico socio è andato in tribuna (“ha giocato anche quando non stava bene”, ha ammesso Allegri). Non c'è bisogno di Sherlock Holmes per capire che hanno messo nel mirino i playoff fin dal sorteggio: Chiellini, in particolare, accarezza da tempo l'ipotesi di chiudere in bellezza guidandoci a un Mondiale. Nell'eventuale sfida al Portogallo, il capitano potrebbe essere decisivo non solo, banalmente, nella guardia a Cristiano Ronaldo (sarà quello della tripletta al Tottenham o degli zero tiri totali contro l'Atletico?), ma anche nel far muovere la linea difensiva al respiro di una partita che sarà disputata a ritmi assai meno frenetici di quelli della Premier League in cui evolve gran parte dei pur magnifici portoghesi, da Diogo Jota a Bernardo Silva. Ritmi italiani, potremmo dire.

Marco Verratti. Il miglior giocatore italiano del momento, ancora più di Jorginho ultimamente lampeggiante al Chelsea. Nel doppio confronto contro il Real Madrid è stato perfetto per tre tempi su quattro; poi, certo, s'è inabissato anche lui come tutti. Ma quanto è mancato a novembre, senza nessuno che aprisse le finestre per cambiare l'aria viziata dalla nostra manovra ingolfata. È il cardine del nostro piano-A, il prediletto dal Mancio: palleggiare nella metà campo avversaria, foss'anche quella del Portogallo. È l'unica mezzala italiana che può sfidarli su questo terreno, anzitutto mentalmente. 

I fantasmi del Portogallo. E veniamo al dunque, perché il pur nefasto sorteggio di novembre ci ha dato la magra consolazione di incrociare un avversario uscito dalla fase a gironi ancora più prostrato di noi, relegato ai playoff in maniera bruciante al 90esimo di Portogallo-Serbia. La lettura di quella formazione è illuminante: una prima linea Ronaldo-Jota-Bernardo Silva, titolari in tre squadroni di Premier, per tacere di Bruno Fernandes, Cancelo, Joao Felix e Leao, il giocatore più decisivo della capolista della Serie A. Fortunatamente a calcio si gioca in 11 e già la scelta dei titolari sarà foriera di robuste emicranie per il malinconico ct Fernando Santos, che dietro sarà privo di Ruben Dias e Renato Sanches. Da ciò che trapela da Lisbona, i portoghesi non si sentono già in finale: senza lo squalificato Cancelo non possono permettersi lo sciocco lusso di sottovalutare la Turchia.

Meglio in trasferta. Veniamo da una settimana di Champions che ha fatto registrare quattro vittorie in trasferta su quattro, perciò occorre un ragionamento contro-intuitivo: meglio a Porto che a Roma. Questa Nazionale ha bisogno di sana ostilità sportiva per abbandonare il clima ovattato che non ci ha fatto annusare il pericolo nelle morbide partite contro Bulgaria e Svizzera che ci sono costate la qualificazione diretta. Abbiamo vinto un Europeo in trasferta e ci siamo sparati sui piedi nell'amico Olimpico. Meno pressione a noi, più a loro: non a caso i portoghesi hanno cambiato città, scegliendo Porto invece della capitale Lisbona, teatro degli incubi contro la Serbia. Però, valutazioni sospese: con l'ulteriore benzina sul fuoco di un ambiente gasato dal colpaccio in Portogallo, Istanbul sarebbe un ambiente sportivamente ben più invasato.

I nuovi. L'Italia ha vinto nei 90 minuti solo tre delle ultime undici partite, compresi tre dei quattro dentro/fuori agli Europei. Troppo affezionati al nostro nuovo e brillante stile, col passare dei mesi abbiamo faticato ad aggiornare il playbook. Il calcio non aspetta: serve nuova linfa. Gli assi da calare sono due e si chiamano Nicolò Zaniolo e Gianluca Scamacca. Partiranno quasi certamente dalla panchina ma a loro spetterà il compito di sparigliare: scompaginare il prevedibile spartito che il ct seguirà contro la Macedonia e speriamo anche oltre, per gratitudine verso il gruppo di un'estate fa. È giusto così, purché sia ben chiaro quale vetro vada rotto in caso di emergenza. A Belfast era mancato proprio questo: i cambi di Mancini furono scontati, inevitabili, predestinati al nulla di fatto fin dal primo tocco di palla. Servirà uno spirito diverso, più fresco, pronto a tutto, anche in considerazione di due partite che potrebbero allungarsi a 120 minuti e oltre. A proposito, chi è il rigorista?