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I dribblatori son tornati

Furio Zara

Leao, Mbappé e compagnia dribblano per fuggire alla banalità del tic-toc. E portano pennellate di colore al grigiore quotidiano. È in fondo un ritorno alle origini del gioco

Tremate difensori/Son tornati i dribblatori. Il dribbling – l’espressione più pura e gioiosa del calcio – sembrava passato di moda, come il giubbotto da paninaro, il Subbuteo e le spalline rinforzate. Viviamo tempi angusti di costruzione dal basso, alzare gli occhi al cielo è un lusso che non tutti si possono permettere. L’arte di dribblare l’avversario (con conseguente urlo del telecronista: "La superiorità numerica! La superiorità numerica!"), pareva riposare nella Valle dei Re, impolverato dal tempo che passa e da nuovi arditi dettami tattici. Perdere l’amore, sì; ma anche il pallone: non sia mai. Ma tutto torna, si ricicla, scopre nuova identità: fateci caso, nei bar sono rispuntati i flipper. E oggi siamo qui a celebrare la diversità portata in dono da Leao Meravigliao o da Kylian Mbappè, dribblatori per naturale inclinazione, fenomeni in divenire o già certificati che ci hanno dato conferma di una piccola grande verità: a salvarci non sarà la bellezza – quella si trova in saldo – ma la fantasia.

A riguardare con attenzione il gol con cui Mbappè ha steso il Real Madrid all’ultimo minuto della sfida di Champions League, si coglie un fascio di luce che parte dalle partitelle sul cemento della banlieue dove è cresciuto e arriva al Parco dei Principi. Ci vuole lo stesso azzardo – lo stesso benedetto coraggio – per puntare due difensori avversari che fanno muro, sbilanciarli con una finta, rimanere in equilibrio ballando sul mondo e calciare per fare gol, in quel modo così definitivo che ci fa pensare: questo è un fenomeno. È uno che dribbla, prima di tutto.

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Oggi – dalla Serie C alla Champions, da Mattia Morello della Pergolettese a Jack Grealish del City – si dribbla per fuggire la banalità del tic-toc, per uscire con un lenzuolo dalla prigione della tattica: lancio lungo del portiere Maignan, Leao che supera scattando il difensore, sterza e calcia. Milan-Sampdoria di domenica scorsa: 1-0. Qui cortile, a voi San Siro.

 

Ogni dribbling è una pennellata di colore al grigiore quotidiano e in fondo un ritorno alle origini del gioco: non è un caso che Jonathan Wilson, nel suo imprescindibile “La piramide rovesciata”, riferendosi al calcio prima del calcio – Inghilterra fine Ottocento – parli di “Dribbling Game”. Perché il segreto più intimo di questo sport va ricercato proprio lì, nel dribbling. Talvolta fine a se stesso (è pur sempre il più individualista dei gesti tecnici), ogni tanto utile alla squadra. Sempre e comunque un valore aggiunto, portato in dono dal Dribblator Cortese.

Si apra il dibattito, ma anche no.

C’è poco da argomentare. Del resto Pierangelo Bertoli cantava: "E le masturbazioni cerebrali/ Le lascio a chi è maturo al punto giusto/ Le mie canzoni voglio raccontarle/a chi sa masturbarsi per il gusto".

Siano dunque benedetti i dribblatori, anarchici e sovversivi che vanno in direzione ostinata e contraria a tentar la rivoluzione, o qualcosa che le somiglia. Bisogna volergli bene, accudirli e coccolarli, se serve lusingarli, preservarli dalla tempesta delle coperture difensive e dei rientri per fare la diagonale. Perché i dribblatori sono spesso discontinui, soggetti al ghiribizzo del momento, lunatici come da catalogo.

Prendete Vinicius Junior, brasiliano del Real Madrid. Se la grazia lo assiste è imprendibile, altrimenti finisce per inciampare sulle proprie intenzioni come nella più classica delle “Slapstick Comedy”.

 

Taluni allenatori li guardano con sospetto, ma alla fine bisogna fidarsi, come ha fatto Gian Piero Gasperini, che a gennaio si è rinforzato con uno dei migliori dribblatori in circolazione, l’ivoriano ex Sassuolo Jeremie Boga. L’Atalanta – dopo l’esilio di Ilicic – era un monolite d’acciaio cui mancava la scintilla dell’estro: Boga è stato comprato per quello, per impreziosire e rendere imprevedibile il gioco.

 

Strana razza, i dribblatori. Ammirati, temuti, rispettati. A guidarli è l’istinto, a silenziarli è la noia. Quando Neymar ne ha voglia è ancora un portatore sano di dribbling elettrici che non lasciano scampo (ma ne ha davvero voglia?), quando Adama Traoré – esterno spagnolo di origini maliane che dal Wolverhampton è appena passato al Barcellona – insiste nel tentativo di scartare l’avversario che ha davanti ("Unstoppable" lo definiscono), bè, bisogna lasciarlo fare: è stato calcolato che Traoré è il giocatore che tenta più dribbling in Europa, siamo nell’ordine dei 12 a partita (per dire: Leao viaggia ad una media di 7), con una percentuale di successo che si attesta attorno all’80 per cento. Il gioco vale la candela, il dribbling vale la vittoria.

 

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