Ingy The Wingy from Lancashire, England via Wikimedia Commons 

Il Foglio sportivo - that win the best

Quel campo al confine tra Inghilterra e Galles

Jack O'Malley

Lo strano caso dello stadio che ha l’ingresso in una nazione, ma il terreno di gioco nell’altra

So che nessuna restrizione al mondo – tranne forse in Cina – è in grado di arrivare ai bizantinismi suicidi delle regole per il contrasto al Covid dell’Italia, con la polizia che frugherà nei sacchetti della spesa per controllare che chi non ha il vaccino non compri cose che non sono di prima necessità e gli stadi ridicolmente a 5.000 spettatori a prescindere dalla capienza dell’impianto. Ma c’è una storia delle mie parti, ben raccontata dal giornale delle colonie New York Times, di cui voglio parlarvi. Scelgo questa amena storia di Covid, pallone e burocrazia che ci ha intrattenuti per qualche giorno perché nemmeno sotto tortura scriverei di calciomercato – finora più moscio di un tweet wanna be sagace di Maurizio Crosetti – né dell’ennesimo “caso Cristiano Ronaldo”, già pentito di essere andato al Manchester United, ma soprattutto non rassegnato all’ineluttabilità del tempo che passa e inesorabile lo sta trasformando in un giocatore normale. 

 

Al confine tra Galles e Inghilterra c’è il piccolo stadio del Chester FC, squadra con un passato di discreto rispetto oggi impantanata nei bassifondi della National League North, la nostra sesta divisione. Ora che lo stadio fosse esattamente sul confine non è mai stato un problema, fino a che non è arrivato il Covid, e l’ondata di legiferazione creativa che ha colpito più o meno tutti i paesi del mondo. Così mentre in Inghilterra abbiamo fatto passare Omicron a suon di festini a Downing Street e libertà più o meno ovunque, in Galles si sono cagati sotto manco avessero Speranza ministro della Salute e hanno imposto a dicembre il tetto massimo di 50 spettatori. Ora però si dà il caso che l’ingresso delle tribune dello stadio del Chester, che tiene circa 6.500 spettatori (più di quelli che vanno a vedere il Sassuolo in tutto l’anno, per capirci), siano in Inghilterra, ma il campo sia in Galles. Da qui la diatriba su quali regole seguire: se quelle di Londra, che permettono di riempire tutti gli impianti, o quelle di Cardiff, con il citato limite ridicolo. Tenete contro che Cardiff è anche la sede dell’Università che ha pubblicato lo studio che ha eccitato le redazioni filopandemiche del gruppo Gedi su quanto sono più belli i volti delle persone con la mascherina, per cui non aggiungo altro perché siete persone intelligenti. 

 

Bene, c’è stata qualche settimana di tensione, discussioni su dove effettivamente passasse la linea di confine (tra parcheggio e spalti), una partita rinviata, polemiche della dirigenza perché senza spettatori la baracca del Chester non si regge. Poi però è intervenuto Boris Johnson, che ha tolto le restrizioni in tutto il Regno Unito, e la prossima partita si giocherà a spalti aperti. O almeno così dicono: io voglio restare fedele al giornalismo contemporaneo che va per la maggiore e non andrò a controllare di persona. Andrò invece  a vedere Chelsea-Tottenham. Ho il forte sospetto che ci sarà da divertirsi, visto l’exploit della squadra di Conte contro il Leicester quelli che se ne intendono dicono che gli Spurs non faranno la fine fatta contro i Blues in Coppa. Io, che non mi fido degli esperti, voglio andare a verificare di persona e infilare il dito nella partita che si annuncia più goduriosa del weekend. Anzi tutte e cinque le dita.

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