Kyrie Irving (foto Ap) 

La storia

Kyrie Irving, il primo giocatore Nba part-time dai tempi di Terry Dischinger

Roberto Gotta

Il cestista dei Brooklyn Nets, messo ai margini della squadra perché non vaccinato, è tornato a giocare (ma solo in trasferta). Ha un precedente illustre: quello del campione olimpico di Roma 1960

Dalla notte tra mercoledì 5 e giovedi 6 la Nba ha un giocatore Nba part time, Kyrie Irving dei Brooklyn Nets, anche se l’inconsueto status lavorativo non nasce da una sua decisione. O meglio, nasce dalla sua scelta di non vaccinarsi, che però cozza con le norme della città di New York, che proibisce agli atleti non vaccinati l’ingresso negli impianti sportivi pubblici. Di fronte alla possibilità di avere un giocatore - importante - solo per le partite in trasferta, ma nemmeno tutte perché ovviamente Irving non avrebbe avuto accesso neanche al Madison Square Garden di Manhattan per le gare contro i Knicks e in Canada per quella contro i Toronto Raptors, il club già il 12 ottobre aveva deciso di non utilizzarlo a prescindere, per non creare difficoltà tattiche e un costante mosaico di scelte. Ora però, con il crescere degli infortuni, i Nets hanno deciso di riaccoglierlo: o meglio, avevano deciso alcuni giorni fa, ma hanno prima dovuto inserirlo nel protocollo Covid, con due tamponi negativi, ai quali ne deve seguire uno quotidiano, considerando il suo status.

Curioso quanto accaduto in queste settimane, anche sul fronte economico: avendo saltato le partite in casa per propria decisione, Irving ha perso per ciascuna di esse 381.000 dollari, cioé l’equivalente del compenso a gara tratto dallo stipendio totale diviso per 82, ma è stato pagato per quelle in trasferta non giocate, dato che la scelta di tenerlo fuori è stata del club, e lo sarà ovviamente anche per le prossime 24, o meglio 21 perché due saranno al Garden e una, già menzionata, a Toronto. Nel mentre, il proprietario Joe Tsai è rimasto in contatto continuo con lui per un motivo molto semplice: molto sensibile al tema della discriminazione, in quanto canadese di nascita taiwanese vittima in passato di episodi di matrice razzista, Tsai ha sviluppato un’affinità emotiva con Irving, attivo sia sul piano della giustizia sociale sia, ovviamente, su quello della difesa dei non vaccinati, ed è contento di "vederlo nuovamente esprimere sul parquet la sua vena artistica".

Irving, 29 anni, campione Nba nel 2016 come importante spalla di LeBron James nei Cleveland Cavs, è il primo giocatore part-time dal 1962, quando tale situazione fu vissuta da Terry Dischinger dei Chicago Zephyrs. Una chicca emersa qualche settimana fa nei media americani: giocatore più giovane della nazionale americana campione olimpica a Roma nel 1960, Dischinger venne scelto dagli Zephyrs nel draft del 1962 ma chiese di poter completare gli studi universitari a Purdue, che per lui valevano più di qualsiasi altro traguardo (come sono cambiati, i giocatori Nba…). Gli Zephyrs, che nel 1963 sarebbero diventati Washington Bullets, acconsentirono e Dischinger giocò, per la sua prima stagione, solo nei fine settimana e durante i periodi di vacanza.

Purdue ha sede a West Lafayette, nell’Indiana, a circa 200 km da Chicago, ma ovviamente Dischinger doveva aggregarsi alla squadra anche per le trasferte, e in una occasione lo fece, come da celebre descrizione, con una corsa a perdifiato: un venerdì di novembre, terminata una lezione alle 16, corse in aeroporto a Indianapolis, prese un volo per… San Francisco (cinque ore, con scalo) e giocò dopo essersi fasciato le caviglie sul taxi. 48 minuti in campo contro i Warriors (che all’epoca giocavano a San Francisco, dove ora sono tornati), poi altri 45 il giorno dopo, sempre contro i medesimi avversari, quindi terza partita di fila, a Los Angeles contro i Lakers, e il ritorno a West Lafayette in serata, con arrivo giusto giusto per qualche ora di sonno prima del ritorno in aula. Il tutto con un rendimento eccelso su entrambi i fronti, visto che prese brillantemente il fatidico pezzo di carta e fu anche votato come Matricola dell’Anno, per via dei 25,5 punti e degli otto rimbalzi di media, in una squadra di per sé non eccezionale, che chiuse con 25 sole vittorie.

Del resto, già a livello universitario Dischinger, ala di circa 195 centimetri, era stato per tre volte miglior marcatore della Big Ten, il raggruppamento di cui faceva (e fa tuttora parte) Purdue, e la sua chiamata ai Giochi era nata proprio per la sua eccellenza. Che poi alle Olimpiadi tenesse era certo: aspirando a giocare in quelle del 1964, aperte (come accadde fino al 1988 compreso) solo ai non professionisti, prima di firmare con Chicago aveva accettato un contratto temporaneo con i Phillips 66, squadra semiprofessionistica dell’Oklahoma dalla forte reputazione, tanto che metà della nazionale americana campione olimpica del 1948 era stata formata da suoi elementi. Ma mica è l’ultima curiosità della sua carriera: dato che a Purdue aveva fatto parte dei cosiddetti Reserve Officers’ Training Corps, un’organizzazione militare che in cambio di un forte contributo al pagamento degli studi richiede esercitazioni per alcuni weekend all’anno, dopo il terzo anno di Nba, Dischinger dovette svolgere due anni di servizio militare (alle Hawaii), riprendendo da professionista solo nel 1967, e fino al 1973. L’ultima sua squadra fu Portland, e a Portland Dischinger ancora lavora. Come dentista: quel diploma, seguito dalla specializzazione a Memphis, non era solo uno sfizio.

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