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Il calcio di Nori

Due partite strazianti e le parole di Avvakum: “Quanto durerà questo tormento?”

Paolo Nori

Parma-Perugia e Ascoli-Parma sono finite entrambe con un pareggio, il risultato peggiore. Contro questa sofferenza, non resta che l'arte

Il risultato che mi piace di meno, quando gioca il Parma, è il pareggio. E quando sono uscito dallo stadio Tardini di Parma, il 12 dicembre, alla fine di Parma-Perugia, pareggio 1 a 1, che seguiva di una settimana il pareggio, 0 a 0, tra Ascoli e Parma, mi è venuta in mente l’autobiografia dell’arciprete Avvakum. L’arciprete Avvakum, che è stato perseguitato in quanto contrario alla riforma dei testi sacri, cioè, in sostanza, perché non accettava di abbandonare le vecchie pratiche religiose per abbracciarne di nuove, l’arciprete Avvakum, dicevo, racconta in questo libro incredibile di un momento in cui sua moglie, l’arcipretessa, dopo anni di persecuzioni che patisce in quanto sposata con suo marito, arrancando dietro l’arciprete scivola sul ghiaccio, non riesce più a sollevarsi e, da terra, chiede a suo marito: “Quanto durerà questo tormento, arciprete?”.
E l’arciprete risponde: “Fino alla morte, arcipretessa”.
E l’arcipretessa dice: “Va bene, arciprete, tireremo avanti”. 

 

Ecco; io, uscendo dallo stadio Tardini alla fine di Parma-Perugia mi chiedevo: “Quando durerà questo tormento?”. E mi rispondevo: “Fino alla morte”. Credo che tutti quelli che seguono il calcio abbiano sperimentato un momento del genere, in cui hanno pensato che la loro squadra, che sono anni che dà loro pochissime soddisfazioni, non gliene darà più “fino alla morte”, e credo che sia quelli che seguono il calcio sia quelli che non lo seguono sappiano che ci son dei periodi in cui un tifoso di calcio, dopo delle partite che non sono andate benissimo per la squadra per cui tifa, vuol parlare di tutto tranne che delle partite della squadra per cui tifa; ecco, per me, che dovrei parlare di Ascoli-Parma e di Parma-Perugia, è arrivato forse uno di quei momenti lì, che voglio parlare di tutto tranne che di Ascoli-Parma e di Parma-Perugia ma, come l’arcipretessa, mi devo forzare e devo dirmi: “Va bene, Arciprete, tireremo avanti”. Ma andiamo con ordine. 

 

Domenica 5 dicembre a Ascoli Piceno si è giocato Ascoli-Parma; io non son riuscito a vederla allo stadio Cino e Lillo Del Duca di Ascoli perché la sera prima ero a Roma alla fiera della piccola editoria e, ho scoperto, per arrivare a Ascoli da Roma in treno (non ho la macchina) ci vogliono circa sei ore, e anche se fossi partito da Tiburtina alle 7 e 10, sarei arrivato a Ascoli alle 13 e 40, la partita cominciava alle 14, non so la distanza che c’è tra la stazione e lo stadio, ma ho pensato che forse era meglio se la vedevo a casa mia sul computer (non ho la televisione). 

 

Da un certo punto di vista è un peccato, perché a Ascoli non ci sono mai stato e, se penso a Ascoli, mi viene in mente una cosa che ha scritto Giorgio Manganelli in un pezzo che si intitola “Esiste Ascoli Piceno?” e che comincia così: “Da una rivista di Ascoli Piceno ricevo una lettera, nella lettera mi si chiede se non vorrei scrivere due o tre cartelle per quella rivista. La lettera viene da una zona periferica, e chi vive in quel luogo è lieto di essere un periferico. Il punto è: esiste Ascoli Piceno? Ricordo di averla visitata in una esistenza che, per molti indizi, dovrei considerare precedente; quello che non ho potuto stabilire è se Ascoli Piceno esiste ora. Rammento di aver bevuto l’anisetta in una piazza estremamente decorativa; ritengo improbabile che una piazza così fatta esista veramente; probabilmente è una allucinazione, come la parola ‘rua’ per designare una strada, o le olive ripiene. Sappiamo che nessun ricordo dà la certezza che qualcosa sia veramente accaduto; non è impossibile che io soffra di una nevrosi ascolana, una forma che suppongo rara, e curabile solo da analisti ascolani che siano giunti, da soli, per autoanalisi, alla scoperta che Ascoli Piceno non esiste, è solamente una tradizione, anche se estremamente ricca di particolari. Ora, il problema potrebbe essere: se Ascoli Piceno esistesse, e quindi potrebbe, niente più che potrebbe, esistere una rivista, e se questa rivista mi chiedesse un racconto di due-tre cartelle io risponderei positivamente? Non credo”.

 

Io, diversamente da Manganelli, non ho memoria di essere mai stato a Ascoli Piceno, Ascoli-Parma sarebbe stata una bella occasione per cominciare a costruirne una, ma se vi sembra che abbia inserito questa citazione perché così ho meno spazio per parlare di Ascoli-Parma avete probabilmente ragione. Anche per la prosa, straordinaria di Manganelli certo, ma anche per parlare meno di Ascoli-Parma, che ricordo doloroso. 

 

Se guardo i miei appunti, ho usato una penna stilografica verde perché pensavo che forse, magari, avrebbe portato fortuna, se guardo i miei appunti, dicevo, quello più sensato tra le due pagine di appunti che ho preso è: “Non faremo mai gol”. Avevo ragione. A me piace, avere ragione, ma quando, ultimo tiro della partita, il centrocampista del Parma Franco Vazquez, libero al centro dell’area ascolana, ha tirato e ha preso la traversa, non ero contento; non c’è niente, devo dire, del Parma di adesso, che mi faccia contento, e domenica 5 dicembre, nella mia cucina di Casalecchio di Reno, l’unica cosa che mi è venuta da pensare per lenire la sofferenza è stata: “Ci rifaremo con il Perugia”.

 

Il 12 dicembre, allo stadio Tardini di Parma, mi ero appena seduto in tribuna stampa, mi ha avvicinato un signore che mi ha chiesto se avevo la distinta, che è il foglio con le formazioni. Mi ha detto di essere il padre di un giocatore del Perugia, Dell’Orco, che da giovane aveva giocato anche nel Parma, e che, delle distinte lui fa la collezione e se, per favore, quando le distribuivano, potevo chiederne una copia anche per lui. Quando sono arrivate le distinte, ne ho presa una anche per lui e gliel’ho allungata. 

 

Dopo, comincia la partita, il Parma va in vantaggio dopo pochi minuti, Inglese potrebbe raddoppiare, il Perugia non tira mai in porta in tutto il primo tempo. Comincia il secondo tempo e io mi immagino che adesso segni Dell’Orco e che io allora penserò: “Gli ho anche dato la distinta. Bella gratitudine”. E, terzo minuto del secondo tempo, calcio d’angolo per il Perugia, gol. L’unico tiro del Perugia in tutta la partita. Sgarbi. “Be”, penso, “almeno non ha fatto gol Dell’Orco”. Una grande consolazione. E dopo, manca un tempo, tre quarti d’ora, un’eternità, ma il Parma guai al mondo se fa il due a uno. Pareggio. Il secondo pareggio di fila. Nelle ultime sei partite, quattro pareggi e due sconfitte. “Quanto durerà questo tormento, arciprete?”. “Fino alla morte, arcipretessa”. 

 

E sul treno che mi riporta a casa, mi viene in mente una cosa che ho scritto su commissione di Davide Toffolo, che ha fatto uno spettacolo su Remo Remotti e, lo faceva a Parma, mi ha chiesto di scrivere una versione parmigiana di “Me ne vado da Roma”, di Remotti, che io, con grande fantasia, ho intitolato “Me ne vado da Parma”, che mi sembra un modo adatto per finire il resoconto di queste due partite così entusiasmanti (ci sono due o tre cose in dialetto, le ho tradotte tra parentesi): “Negli anni 80, poi negli anni 90, poi negli anni 0 son venuto via. Come oggi i ragazzi vanno all’estero, vanno via. Anch’io son venuto via, ero stanco. Stanco di questa Parma degli anni 80, e poi degli anni 90, e poi degli anni 0. E io allora a vent’anni, e poi a trent’anni, e poi a quarant’anni, mi son trovato di fronte a questa situazione. E me ne sono andato da quella Parma addormentata. Da quella Parma ricca, di sinistra, buona. Quella Parma con il cuore in mano. Quella dei bottegai, delle latterie. Delle tabaccherie, dei fruttivendoli. Quella Parma degli anonili, dei tortelli d’erbetta, delle spongate, delle bombe di riso, delle peperonate, della vecchia. Me ne andavo da quella Parma della carne di cavallo, dei carrelli dei bolliti, delle Sorelle Picchi, dei Corrieri. Da quella Parma dei portinai, dei geometri, dei ragionieri, degli appuntamenti, dei difensori civici.  Quella Parma delle cooperative, degli stabilimenti dei pomodori, dei prosciuttifici, dei bancari. Quella Parma dell’istituto tecnico Macedonio Melloni di Parma, dell’Istituto per geometri Camillo Rondani, del liceo Romagnosi, dell’Ulivi, del Maria Luigia. Quella Parma dove se volevi lavorare non era mica un problema, dove non ci voleva neanche la raccomandazione. Me ne andavo da quella Parma dei cortili, dei piazzali, delle biciclette, dei du brasé (“due abbracciati”, è una statua in via della Repubblica). Quella Parma di via Cavour, di Piazza Duomo, del Battistero, di San Giovanni, della Steccata. Quella Parma della camera di San Paolo, di Bodoni. Me ne andavo da quella Parma della cittadella, della centrale del latte, del Tennis club La Raquette. La Parma di via Duca Alessandro, di via della Repubblica, di Borgo delle Colonne, di Borgo Santo Spirito, del Picasso. Da quella di giorno e da quella di notte, quella del cinema Astra, dell’Astrolabio, dei tavolini in Piazza Garibaldi. La Parma dell’Avis, dei donatori del Sangue, la Parma di Mario Tommasini, la Parma del Sordo di Borgo Sorgo, la Parma dell’oltretorrente, la Parma antifascista, di Picelli, la Parma di ‘Balbo, t’è pasé l’Atlantic mo miga la Pärma’ (Balbo, hai passato l’Atlantico ma mica la Parma). Me ne andavo da quella Parma che ci invidiano tutti, la Parma voladora (il torrente Parma in piena), La ‘Parma t’si bela e tut al mond alt guarda con passion’ (Parma sei bella e tutto il mondo ti guarda con passione, è una canzone), del Teatro Farnese, del Parco Ducale, di via della Salute, del Correggio, del Parmigianino, dalla Parma di Giuseppe Verdi, di Arturo Toscanini, di Attilio Bertolucci, di Giuseppe Bertolucci, di Bernardo Bertolucci, dalla Parma di Cesare Zavattini, che non era di Parma ma diceva ‘molti credono che io sia di Parma e delle volte anch’io, credo di essere di Parma’, da quella di Proust che non c’era mai stato ma diceva che Parma era color malva, da quella di Stendhal che non diceva niente ma anche lui, a Parma, noi pensavamo che fosse un po’ di Parma, Stendhal, se no perché ha scritto ‘La Certosa di Parma’? La scriveva di Piacenza, se non era di Parma, o di Lodi. Quella Parma sempre con la nebbia, estate e inverno. Quella Parma che è meglio di Milano, molto meglio di Roma, meglio di Firenze, meglio di Venezia, meglio di Parigi, che confusione, a Parigi, ecco quella Parma che è una piccola Parigi, ma più bella. Me ne andavo dalla Parma di Ancelotti, di Arrigo Sacchi, di Tino Asprilla, di Alessandro Melli, me ne andavo dalla Parma di Nevio Scala, dalla Parma della Coppa delle Coppe, dalla Parma di Wembley, dalla Parma delle coppe Uefa, dalla Parma della Supercoppa europea. Me ne andavo dalla Parma di Ghirardi, di Manenti, che vergogna, Ghirardi e Manenti.  Me ne andavo dalla Parma dei Barilla, dalla Parma di ‘non sei mica il figlio di Barilla’, dalla Parma della Parmalat. Me ne andavo dalla Parma di Tanzi, dell’unione parmense degli industriali, dalla Parma dell’ente Fiere di Parma, dell’Università degli studi di Parma, della Gazzetta di Parma, di Radio Parma, di Tv Parma, dell’acqua di Parma, del formaggio di Parma, il Parmigiano, del Prosciutto di Parma, del salame di Parma. Che do bali (Che due balle)”.

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