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Promesse da Viperetta. Così Massimo Ferrero ha fatto e disfatto la Sampdoria

Enrico Veronese

Il presidente dei doriani è stato arrestato per bancarotta fraudolenta. Dal giugno 2014 a oggi gli anni della presidenza Ferrero sono stati un'altalena di piccole soddisfazioni e grandi delusioni, un galleggiare costante al limitare del baratro

L’anno dei suoi settantacinque anni, la Sampdoria decise di regalarsi il brivido di una presidenza vacante per bancarotta fraudolenta. Non quella della società blucerchiata, e nemmeno della chiacchierata rete di sale cinematografiche in capo a Massimo Ferrero detto il Viperetta, chiocciola unavitadacinema, arrestato e incarcerato a Milano. Ma è bastato il diffondersi della notizia, commentato ufficialmente con uno "stupore" degno di miglior causa, per gettare fosche nubi sopra l’avvenire societario della “maglia più bella del mondo”, come sta scritto nel colletto di gioco per volontà del capo: dall’estate di sette anni fa – quella dell’avvicendamento ai vertici – agli ultimi mesi sono stati innumerevoli i saliscendi emotivi e di classifica, i proclami e le sparate senza seguito, le idee mirabolanti e le figure barbine di colui che ha rilevato un’eterna adolescente yeyè simpatizzata da tutti (tranne dai genoani, ovvio) mettendo a rischio casse, reputazione e pericolosamente il futuro.

Nel giugno 2014 Edoardo Garrone, patron della ERG Petroli e già sponsor doriano ai tempi dello scudetto, cedette le quote di maggioranza della Samp a questa misteriosa figura romana, col passato da caratterista giallorosso in “Ultrà” di Ricky Tognazzi. Alla conferenza, Ferrero paragona la squadra a Ben Hur, dice di volerne cambiare l’inno e polemizza subito con qualche collega: ben altro dallo stile sobrio e sottotraccia di Paolo Mantovani, che anno dopo anno costruì una compagine in grado di stupire l’Europa. Garrone lascia in dote fideiussioni e capitali, senza chiedere niente per sé: "Non è che questo non ha un euro?", si chiedono nei baretti tra via del Piano e via Casata Centuriona, dove vibra il tifo più acceso.

 

Maurizio Crozza, tifoso doc, comincia a tratteggiarne la macchietta da portare in tv: su di giri, fuori posto come poche cose al mondo, il “suo” Ferrero è più reale del vero, ed è una continua sfida per gli autori superare in assurdità gli slanci in tribuna dell’originale, occhi spiritati e iconica pashmina. Massimo Ferrero si mette contro il cuore pulsante dei club e degli ultras: "È una squadra conosciuta solo tra Recco e Chiavari", twitta improvvido parlando di chi è stato vicecampione d’Europa. E poi il progetto, mai effettivo, di uno stadio di proprietà in zona fiera, alla Foce davanti al mare: a un uomo senza storia nel calcio non può interessare che del Luigi Ferraris, l’impianto anglofilo di Marassi, gli affezionati vadano fieri e non lo cambierebbero con niente al mondo.

Per fortuna, sul campo, la squadra affidata a Siniša Mihajlović risponde bene al proprio dovere e si qualifica addirittura per l’Europa League, complice la carenza della licenza Uefa in capo ai dirimpettai del Genoa: derby vinti e giovani lanciati (Romagnoli, Gabbiadini, Soriano), con la ciliegina Eto’o che arriva quasi come regalo personale di chi tiene le redini. Ma la proprietà ci mette un’estate a smantellare l’ingranaggio: Zenga e la sottovalutazione confezionano la vergogna di uno 0-4 contro i modesti serbi del Vojvodina, Montella trascina i suoi a una salvezza risicata con l’acqua alla gola, nonostante il nazionale Eder, la stella Muriel e il solito Cassano.

Altro cambio di passo, l’èra di Marco Giampaolo: il “professore” allestisce un bel gioiello, che gioca bene e diverte grazie al maturo Quagliarella, al talento di Torreira, allo stato di grazia di Schick e all’intuizione Bruno Fernandes, uno che oggi detta legge al Manchester United e nel Portogallo. Ferrero non sta fermo e non lascia fare: trovandosi a dover rimpiazzare il coach partente, ripiega sul deficitario Eusebio Di Francesco prima di ripiegare in tempo verso il rassicurante Claudio Ranieri, che conduce la nave del Baciccia in porto sicuro. Naturalmente, dato il contesto, la vicenda non poteva che interrompersi per asserite pretese economiche e garanzie di assetto: dentro dunque il quadrato Roberto d’Aversa, Quagliarella è ancora il totem a 38 anni, la soglia di rischio non è mai troppo distante.

Promesse mai mantenute e patemi di classifica si accompagnano a giudizi che il web si incarica impietosamente di ricordare: "Mihajlović come Boškov", che a Genova è come bestemmiare in chiesa. E poi: "Giampaolo è il più grande maestro di calcio", "Zenga profilo perfetto", "Montella è un mito", "Ranieri è una Ferrari", "D’Aversa un signore elegante, un Ranieri giovane".

Fu lo stesso Di Francesco a dichiarare che da Ferrero era stato "incantato", il che la dice lunga delle doti affabulatorie del nuovo inquilino di San Vittore, quello che firmava i comunicati prima col proprio nome e poi con l’intestazione del club. Mezza città – quella che sta producendo notevoli meme al fine di testimoniare la propria soddisfazione per l’uscita di scena di Ferrero – sogna il ritorno di Gianluca Vialli, in groppa a una cordata internazionale: sfumato due anni fa, l’obiettivo a medio termine ora potrebbe essere possibile. Il tempo stretto, invece, si chiama derby della Lanterna: venerdì sera a Marassi sono messi in conto striscioni e cori beffardi. Ma se Atene piange, Sparta certo non rideva, fino all’arrivo degli americani di 777 Partners e del dottor Zangrillo: e chi è senza peccato, vero Preziosi?, scagli la prima pietra.

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