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Alla scoperta di Marcus Smith, la nuova stella del rugby inglese

Giovanni Battistuzzi

Nato a Manila, da padre inglese e madre filippina, il mediano d'apertura non può passare inosservato: fa tutto un’imprevedibilità nuova, a tratti mai vista, quasi avesse conoscenza millimetrica di ogni movimento e intenzione dei compagni e preveggenza di ogni rimbalzo del pallone

Il 2 giugno 2019 sulla faccia di Jonny Wilkinson, uno tra i più forti rugbisti della storia dell’Inghilterra, si materializzò un’espressione di divertito stupore. Al Twickenham Stadium, il tempio del rugby inglese, l’Under 20 della Rosa stava giocando, e bene, contro i Barbarians (la squadra a inviti in maglia a strisce orizzontali bianche e nere, senza sede, né soldi, né campo, né calzettoni, una sorta di libero stato del rugby), ma gli occhi dell’ex capitano seguivano soprattutto un ragazzo dai tratti orientali, una fascia bianca sulla fronte e i capelli sparati in aria. “Pazzesco”, continuava a dire.  “Fa cose che nessuno fa, che forse non si dovrebbero fare, ma diamine se le fa bene”.

Due anni e qualche mese dopo tutta l’Inghilterra del rugby (qui un dizionario minimo per capire di cosa si parla), e non solo, si è accorta di quello che aveva visto Jonny Wilkinson in Marcus Smith. Non ci fosse stata la pandemia di mezzo, probabilmente se ne sarebbero accorti tutti prima. Tre trasformazioni e due punizioni, una decisiva all’ultimo minuto contro il Sud Africa una settimana fa. E tantissime invenzioni durante gli 80’.

 

Uno come Marcus Smith non può passare inosservato. Quello che fa, ossia il mediano d’apertura, lo fa benissimo. Sa dare i tempi all’azione, sa calciare ed è veloce di mano,  gambe e testa. Di mediani d’apertura però l’Inghilterra ne ha avuti di buonissimi sia prima che dopo Wilkinson. A rendere “pazzesco” il ventiduenne nato a Manila (da padre inglese e madre filippina) è come fa quello che fa. Con un’imprevedibilità nuova, a tratti mai vista, quasi avesse conoscenza millimetrica di ogni movimento e intenzione dei compagni e preveggenza di ogni rimbalzo del pallone.

“L’ovale è di sua natura instabile e bizzoso, fa quello che vuole lui. Per questo è meglio fare un gioco alla mano. A volte è difficile, quasi impossibile e allora chi fa il mio mestiere il pallone lo calcia. E ogni volta che lo fa amplifica la meraviglia di questo sport. Per farlo ci vuole innanzitutto bravura, poi  fede che il pallone non ti tradisca. In quale rapporto? Serve tanta più fede quanto è inferiore la bravura”. Cliff Morgan, uno tra i più grandi aperture della storia del Galles e del rugby (è nella International Rugby Hall of Fame), descrisse così il fascino del suo ruolo e del suo sport.

La fede nel pallone in Marcus Smith è a livelli bassissimi. Questione di talento, sguardi e consapevolezza. “Capisce subito e prima di tutti quello che gli capita attorno. Trova sempre la fiducia giusta per rischiare la giocata potenzialmente vincente. Alla fine sta tutto lì: un mediano d’apertura deve avere fiducia nei propri mezzi e in quelli dei compagni. Marcus sta facendo così bene perché riesce a trovare il giusto equilibrio fra queste cose”, ha detto il capitano dell’Inghilterra Owen Farrell, spostato dal ruolo di apertura a quello di centro per fare spazio al compagno.  “Se c’è uno spazio, state certi che lui lo trova, ci si fionda dentro o fionda dentro il pallone. In ogni caso fa sempre la cosa giusta”.

Di calcio o di mano. Di forza o di velocità. Di intuito o di ingegno.

 

A 5 live Sport, trasmissione radiofonica della BBC, il presentatore per spiegare a un radioascoltatore calciofilo del perché stessero parlando di Marcus Smith con tanto entusiasmo, sintetizzò: “Non è facile spiegarlo, ma ci provo. È come vedere con l’ovale in mano Zinedine Zidane, con la velocità di Gareth Bale e la potenza di Romelu Lukaku. E ho inserito Zinedine Zidane perché in attività non c’è nessuno al suo livello di classe”. Nessun radioascoltatore ebbe niente da obiettare.
Un giudizio che troverebbe d’accordo anche Nick Buoy, direttore della sezione rugby del Brighton College, uno tra i primi a essersi accorto dell’incredibile talento di Smith. “Era il 2010 quando un mio collaboratore che gestiva il centro estivo di rugby della scuola mi chiamò e mi disse di venire subito. Corsi là pensando al peggio. E invece lo trovai sorridente e felice. Mi indicò il campo. Vidi subito un ragazzino: il modo in cui si muoveva era straordinario, aveva un’aura intorno a lui. Ma non era solo come giocava. Mentre aveva il pallone in mano organizzava anche il gioco degli altri. Per un bambino di 11 anni è insolito”, ha detto alla BBC. Smith venne preso dal Brighton.

Eppure per Marcus Smith non c’era e non c’è nulla di insolito nel suo gioco. “Non faccio nulla di che, niente di speciale. Gioco in modo naturale. Solo questo. Ho imparato molto in questi anni, ma scendo in campo la stessa passione di quando ero bambino. Non credo sia un segreto. È divertimento. È normale”.

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