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Il Mondiale di ciclismo nel santuario della bici

Giovanni Battistuzzi

Guida controcorrente all'ultimo fine settimana dei campionati del mondo che si corrono nelle Fiandre, il posto ideale per le due ruote  

Che la conclusione di domenica 26 settembre,possa essere iridata come l’incipit di domenica scorsa dovrebbe essere una questione di importanza marginale. Certo qui in Italia tutto ciò sarebbe auspicabile, farebbe un gran piacere, una botta di libidine dopo dodici edizioni, tante ne sono passate dalla vittoria di Alessandro Ballan a Varese, andate mica bene. Un’altra maglia da campione del mondo dopo quella conquistata contro il tempo da Filippo Ganna, sarebbe il miglior finale possibile dell’avventura di Davide Cassani come ct della Nazionale. L’ultima firma su un lavoro lungo e appassionato di un professionista che è riuscito, grazie al suo impegno, a tenere a galla un movimento che rischiava di diventare periferia del ciclismo europeo. 

Eppure, al di là delle legittime speranze, come finirà la prova in linea dei Mondiali di ciclismo nelle Fiandre è un aspetto secondario, del tutto superfluo. Così come l’andamento delle altre gare. Perché nulla potrebbe cambiare di ciò che è stata questa rassegna iridata. Una grandissima dimostrazione d’amore di un intero territorio alla bicicletta, l’omaggio di un popolo non solo ai propri campioni, ma a tutti i corridori, al ciclismo in generale. 

Soprattutto una forma di risarcimento per quello che è stato, o meglio per quello che non è stato, per quel “necessario sacrificio” sull’altare della salute pubblica, come sottolineò Wouter Vandenhaute, presidente di Flanders Classics (la società che organizza quasi tutte le classiche fiamminghe), annunciando che il Giro delle Fiandre 2021 sarebbe andato in scena “a porte chiuse”. E senza pubblico nelle Fiandre vuol dire senza centinaia di migliaia di persone.

  

“La prima volta rimasi esterrefatto. Sembrava la festa di Sant’Agata a Catania. Solo che non si attendeva il passaggio del fercolo con la statua della santa, ma delle bici. Il trasporto e la devozione erano però le stesse. A cambiare era il contesto. Catania è caotica e chiassosa sempre, tutto il contrario di lassù”. Marco Giuffrida è da novembre del 2011 che vive a Oudenaarde, città dove si conclude il Giro delle Fiandre. Era partito da Catania per fare il designer in un’azienda locale, doveva rimanere un anno, “ora sento queste zone casa mia”. In Sicilia aveva pedalato “sì e no dieci volte nella vita, ora è da sette anni che mi muovo quasi esclusivamente in bicicletta. Tutto qui parla di bici, c’è un trasporto emotivo diverso. Ogni anno la Ronde è una festa che dura tre giorni, dove tutto è aperto, ma nessuno lavora: una celebrazione religiosa laica. Questi Mondiali non sono diversi. L’atmosfera è meno sacra, ma l’entusiasmo è lo stesso”. 

 Il campionato del mondo di ciclismo, che si corre tra Knokke-Heist, Bruges, Anversa e Lovanio, è tornato in Belgio dopo diciannove anni. L’ultima volta il percorso che si snodava attorno al circuito di Zolder aveva sorriso a Mario Cipollini e l’Italia aveva fatto pace con la maglia iridata dopo nove anni di occasioni perse e buttate. 

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Per quasi un ventennio il Mondiale aveva trovato ospitalità altrove. In questi anni ha vissuto edizioni piacevoli e noiose, spettacolari e deludenti. Anche in quei posti nei quali la passione per la bici è grande, però, salvo rare ma significative eccezioni (Imola 2020, per dire), è sempre stato un corpo estraneo a una realtà che poteva andare avanti lo stesso e che anzi, avrebbe preferito non averlo tra i piedi per muoversi allo stesso modo di ogni giorno. È stato apprezzato, ha richiamato gente a bordo strada, ha creato aspettative, ma era comunque un ospite. 

A Bruges e a Lovanio invece “l’atmosfera è strana: è come se una grande corsa come il Mondiale fosse una cosa normale. È come se fosse cosa del tutto naturale trovarsi in mezzo a dei divieti, al non poter andare di qua o di là perché ci devono passare i corridori”, spiega Marco Giuffrida. Perché al di là delle gare, c’è sempre una città bloccata. “Ma di questo la gente se ne frega. È fiera di essere al centro del mondo del ciclismo per qualche giorno. Allo stesso modo del periodo della Ronde. Solo che qui siamo a est di Bruxelles, non a ovest e il Brabante fiammingo è un po’ meno Fiandre, ma questo è meglio non dirlo a uno di Lovanio”. I campionati del mondo hanno trovato casa, una dimora fatta a posta per loro, che verrebbe da sperare si possa rinnovare ogni anno e per sempre. Almeno per atmosfera. 

  

George Simenon sosteneva che “le Fiandre sono crudeli”, e senza nessuna nota lieta: era vallone. Aveva ragione. La nota lieta ce l’ha messa il ciclismo, che la crudeltà la ricerca, ne fa vanto, in essa si crogiola. Le Fiandre da quando esistono le bici sono un battito di cuore al ritmo di un giro di pedali. Sono fatte a posta per pedalarci sopra: nessuna salita troppo lunga, collinette che sembrano pacifiche, ma che si trasformano in rasoi per i polpacci. Strappi che non uccidono, ma feriscono piano piano, cucinano tempo-tempo.  

I corridori vagheranno alla ricerca del meglio che la zona può offrire: si troveranno sotto le ruote il Moskesstraat e Bekestraat nel circuito di mezzo, quello più occidentale che fa l’occhiolino alla zona dei muur, ma senza lambirla davvero. Poi si dedicheranno a un su e giù continuo, un toboga d’ascese e discese, tutte corte, tutte violente. Il pavé sarà omaggiato, non sarà dominante: giusto così, il Giro delle Fiandre è un’esperienza mistica, non può essere imitato o riproposto, il rischio di scimmiottamento è troppo alto. 

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